Il ciclo elettorale del 2020 – referendum confermativo e regionali – sembrava destinato a non lasciare un gran segno. L’esito del referendum appariva all’inizio scontato e le regionali avrebbero potuto registrare un “pareggio” che alcuni avrebbero potuto vedere con un bicchiere mezzo pieno e altri mezzo vuoto.

Con il permanere di varie incertezze sulla stabilità della coalizione di governo e sul futuro del centrodestra. Naturalmente, le incertezze continuano a non mancare, ma il risultato e la dinamica assunta prima dalla campagna elettorale e poi dal voto hanno messo in evidenza almeno due possibili svolte sul piano nazionale della politica italiana.

L’ascesa di FdI

L’affermazione crescente di Fratelli d’Italia e la sempre maggiore popolarità di Giorgia Meloni – a vari livelli – ha già da mesi segnalato che la leadership del centrodestra, fino a un anno fa indiscutibilmente e stabilmente nelle mani di Matteo Salvini, potrebbe diventare presto, se non lo è già, contendibile.

Molti indizi lasciano presumere che Giorgia Meloni potrebbe essere già oggi più popolare di Salvini nel complesso dell’elettorato di quell’area. Salvini rimane a capo del partito significativamente più forte, ma la tendenza in crescita di FdI e il rafforzamento della reputazione della sua principale alleata lo pone di fronte a un serio dilemma.

Se sia per lui più utile perseverare nella linea e nello stile anti-establishment che gli ha portato fortuna fino all’estate del 2019 o se non sia ora necessario assumere una postura più istituzionale, meno aggressiva, più “autorevole”.

Considerando che il paese sta attraversando una crisi nella quale anche parte del suo elettorato chiede di essere rassicurata più che di essere galvanizzata.

Per capire in che misura questo dilemma è percepito dagli elettori abbiamo chiesto a un campione individuato dall’istituto di sondaggi Swg di rispondere a una domanda: «Secondo alcuni, ora che l’Italia sta per ricevere gli aiuti europei per riprendersi dalla crisi prodotta dal Covid-19, Matteo Salvini dovrebbe cambiare il suo atteggiamento duramente critico verso l’Unione europea, secondo altri non ci sono fatti concreti che giustificano un cambiamento della sua posizione. Lei cosa ne pensa?».

Naturalmente, la gran parte degli elettori di centrosinistra auspicano un ripensamento del leader della Lega. È meno ovvio che lo faccia circa un quarto dei suoi elettori e quasi il 40 per cento degli elettori di Fratelli d’Italia.

La maggioranza di governo

La seconda svolta emersa “in nuce” dal ciclo elettorale 2020 riguarda i partiti attualmente al governo. Non è affatto detto che l’alleanza tra Pd e M5s sia nata per durare.

Nella percezione di molti protagonisti è stata e continua a essere un connubio innaturale. Il fatto che sul fronte del centrosinistra in molti si siano espressi a favore del No al referendum sul taglio dei parlamentari riflette, per alcuni, questa prospettiva.

Allo stesso tempo, all’interno del Movimento, una considerazione simile può essere fatta prendendo ad esempio le posizioni espresse negli ultimi giorni di Alessandro Di Battista e Davide Casaleggio. Le analisi sui flussi elettorali nelle elezioni regionali svolte dall’Istituto Cattaneo avevano tuttavia già mostrato una tendenza tra gli elettori che erano rimasti fedeli al Movimento 5 stelle alle europee del 2019 (quando quelli più entusiasti dell’alleanza giallo-verde erano già traghettati verso Salvini) a concedere il loro voto, in prevalenza, a sostegno di candidati di centrosinistra.

Un passaggio di consensi che poteva essere visto sia come un abbandono del Movimento sia come un voto utile dato a candidati considerati politicamente più vicini rispetto a quelli, più “distanti”, promossi dalla Lega. Quindi come la conferma che quegli elettori non considerano affatto “innaturale” l’alleanza di governo.

Forza giallorossi

Per capire meglio, abbiamo chiesto a due metà del campione selezionato da Swg di rispondere a due domande simili. In un primo caso, abbiamo chiesto se, «dopo aver governato insieme», Pd e M5s dovrebbero allearsi stabilmente oppure dovrebbero andare prima possibile ciascuno per la sua strada.

Alla seconda metà del campione abbiamo invece chiesto cosa dovrebbero fare «per fronteggiare un centrodestra che arriva circa al 50 per cento dei consensi». Il risultato principale è che, nel complesso, l’opinione favorevole alla continuazione della collaborazione tra i due partiti prevale su quella secondo cui dovrebbero allontanarsi.

Il secondo dato di interesse è che mentre il conflitto su questo argomento sembra maggiore all’interno della classe politica grillina di quanto non lo sia ormai tra la dirigenza del Pd, sono proprio gli elettori Cinque stelle ad avere interiorizzato in una quota maggiore, rispetto agli elettori democratici, questa prospettiva. Il nostro “esperimento” fornisce anche un terzo elemento di interesse.

Gli elettori del Pd sono meno inclini a considerare la collaborazione già sperimentata stando insieme al governo come un buon motivo per dare continuità all’alleanza. Ma la quota dei favorevoli raggiunge percentuali simili a quelle registrate tra i Cinque stelle quando li sollecita a riflettere che questo è forse l’unico modo per competere con un centrodestra che è, da solo, quasi maggioranza nel paese.


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