L’Italia è nel pieno di un percorso di interregno politico. Nonostante i giudizi positivi sull’operato del premier Draghi, con voti oltre il “6” tra gli elettori Pd (70 per cento), Lega (62 per cento), Forza Italia (61 per cento), Fratelli d’Italia (51 per cento) e M5s (42 per cento, unica base elettorale a maggioranza critica), il paese, nelle sue dimensioni sottotraccia, non è affatto attraversato da una ondata di concordia.

Il tratto politico nostrano permane attraversato da spinte e controspinte, con dinamiche socio-politiche che oscillano tra sirene protezionistiche e dinamismo innovatore; tra chiusura verso i migranti e spinte solidaristiche; tra lo sviluppo di nuovi particolarismi e il bisogno di una nuova visione d’insieme e unitaria del nostro paese; tra rabbia e ricerca di riscatto sociale, economico, umanistico; tra critica e avversione alla casta e il bisogno di una nuova leadership in grado di incarnare una promessa identitaria e di proporre un proprio disegno di futuro.

Due stili

Nel campo politico nostrano le pulsioni presenti nelle diverse basi elettorali dei partiti sembrano oscillare, mixarsi e generano, prioritariamente, due stili e modi di fare solo parzialmente differenti e contrapposti. Due stili che in alcune parti si confondono tra loro: da un lato, la spinta al semplicismo (simplism, come dicono gli americani) e, dall’altro lato, l’insediarsi di quella che i politologi anglosassoni definiscono folk politics. Permane una quota di elettori ancorata a un modello politico ragionato e moderato, che oscilla intorno al 15-20 per cento.

I semplicisti

Di fronte alla complessità della contemporaneità e all’incrociarsi di interessi contrapposti, una ampia parte della società italiana volge la prua verso soluzioni semplici, facili, chiare, possibilmente nette e immediate. Il 77 per cento degli italiani ritiene che gli esperti non capiscono la vita delle persone comuni. L’84 per cento pensa che i partiti e i politici non si preoccupano della gente comune. Per il 47 per cento, infine, il parlamento è un organismo superato. La spinta semplicistica implica la necessità di definire ipotesi di risoluzione chiare, circoscrivendo ogni situazione all’interno del confronto tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il semplicismo sostiene e foraggia le politiche di “buon senso”. Non è una politica di mediazione, bensì una forma di estremismo politico che si basa sull’esposizione di verità autoevidenti, sull’assunto che obiettare vuol dire stare con il nemico, sulla dinamica polarizzate bene-male, amico-nemico, buoni-cattivi.

La relazione fra il modello politico semplicistico e le forme populiste è intrinsecamente forte. Il 42 per cento degli italiani non disdegna, a vario titolo, le proposte politiche populiste e per il 31 per cento essere definiti populisti non è affatto un’etichetta negativa. «Il populismo – afferma il filosofo Slavoj Žižek – è in ultima istanza sorretto sempre dall’esasperazione e dalla frustrazione della gente comune, dal grido “ne ho abbastanza! Non può continuare! Deve finire!”. Queste esplosioni di impazienza tradiscono un rifiuto a comprendere o a impegnarsi nella complessità della situazione e fanno nascere la convinzione che ci deve essere un responsabile del disordine».

I tratti della folk politics

Sull’altro fronte, in parte contrapposto e in parte con dinamiche che, pur di diverso colore, appaiono simili e parallele a quelle del semplicismo, ritroviamo le spinte alla folk politics. Essa si caratterizza per l’attenzione a ciò che è etico contro ciò che è politico; per la spinta a pratiche a breve termine e a forte caratura locale; per la predilezione verso tutto ciò che è spontaneo e volontaristico.

I richiami tipici della folk politics sono l’autenticità, l’azione diretta, la contrapposizione ai poteri forti (il 78 per cento degli italiani è preoccupato per il potere delle multinazionali e delle banche d’affari), l’esaltazione dei processi decisionali individualistici, il fastidio per la rappresentanza, la richiesta di trasparenza, i sospiri nostalgici verso un passato ritenuto migliore. All’interno di questa dimensione troviamo il 64 per cento delle persone che preferiscono una realtà orientata al locale rifuggendo una dimensione cosmopolita; il 55 per cento del paese fa prevalere sempre l’interesse individuale su quello collettivo; il 54 per cento degli italiani ritiene la globalizzazione un killer per la nostra economia; il 61 per cento del paese che giudica il mondo globalizzato reo di distruggere le culture locali; il 47 per cento delle persone che apprezza i partiti che fanno proposte dal basso, mentre la maggioranza degli italiani, oltre il 60 per cento, aspira a forme di federalismo regionale o comunale.

La spinta al “noi”

Nella folk politics non solo manca la visione di lungo periodo, ma difetta anche la spinta al “noi”, a una dimensione comunitaria “sensata”. Per dirla con Agnes Heller, «la vita sensata è il per-noi della vita quotidiana in un mondo aperto». È la ricerca di un costante equilibrio, di una comunanza di intenti e destino, in cui la crescita è complessiva, per tutti e non per pochi, in cui il vivere si gioca sul fronte dell’armonia (sociale, economica, ambientale, umana, tra i generi e le generazioni) e non solo dell’affermazione di sé sugli altri.

© Riproduzione riservata