Aggiornamento 2 marzo: stamattina si è riunito il Cdm per stabilire le nuove misure anti-Covid da inserire nel prossimo Dpcm. Tra i temi sul tavolo del governo Draghi c’è anche quello della scuola. L’orientamento dell’esecutivo, in attesa del provvedimento in arrivo stasera, è di chiudere gli istituti automaticamente in zona rossa e dare la facoltà nelle altre aree – a prescindere dal colore – di chiudere gli istituti se, a livello locale, si raggiungono 250 casi ogni 100mila abitanti. La decisione spetterebbe, dunque, ai governatori e ai sindaci.

Gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado italiane sono circa 3,4 milioni (2,6 milioni nelle statali e 800mila nelle paritarie). Da inizio anno, sono i più colpiti dai provvedimenti decisi dal governo e dalle regioni per istituire la didattica a distanza. Se guardiamo ai dati, si vede però come non tutte le regioni hanno lasciato a casa gli studenti in egual misura. Le regioni del sud sembrano essere quelle più predisposte a lasciare i propri studenti in didattica a distanza, nonostante siano quelle che registrano un minor diffusione del contagio. Una differenza che viene pagata proprio dagli stessi studenti.

Come cambiano le regole

Con lo scoppio della pandemia da coronavirus, tenere le scuole aperte è stato (ed è tuttora) molto difficile. Dall’inizio della seconda ondata, a ottobre 2020, si sono susseguiti numerosi provvedimenti sia a livello nazionale che a livello regionale su come e quanto attuare la didattica a distanza. A ottobre 2020, quando il governo Conte II emana le prime direttive per contenere il virus, prima si chiede alle scuole di applicare forme flessibili di didattica, poi viene formulato l’obbligo a mantenere il 75 per cento degli studenti con la didattica a distanza e infine si arriva alla chiusura totale del ciclo superiore di educazione. Con il decreto del 3 novembre si richiede la didattica a distanza al 100 per cento per gli alunni delle scuole secondarie di secondo grado. Nei mesi successivi, il trend negativo della pandemia rende la didattica in presenza un miraggio per gli studenti più grandi. Se il governo nazionale ha negli ultimi mesi dato le linee generali per attuare la didattica a distanza, ogni regione ha molto spesso emanato le proprie direttive, aumentando e modificando le regole generali. Per questo motivo, identificare quali ordini di scuole siano stati chiusi in quali regioni in quale periodo è assai complicato.

Proteste degli studenti contro la didattica a distanza a Gennaio 2021 - Luca Bruno/AP

Chi lascia gli studenti a casa

Come mostra il grafico in questa pagina, i dati per le scuole superiori di secondo grado evidenziano alcuni punti importanti. Primo, non sembra esserci una chiara relazione fra il numero di giorni in cui le ragazze e i ragazzi fanno didattica a distanza rispetto ai numeri dei contagi nella propria regione. Se cosi fosse stato, le regioni più colpite dal virus sarebbero risultate anche quelle che hanno lasciato gli studenti a casa per più tempo. Secondo, gli alunni delle regioni del sud Italia sono quelli che hanno finora registrato i più alti numeri di giorni in didattica a distanza: è il caso soprattutto di Campania e Sicilia. Questa differenza fra regioni è dovuta alle diverse ordinanze emanate dai presidenti di regione. Per esempio, nel mese di gennaio le scuole superiori in Toscana hanno attuato la didattica a distanza al 50 per cento, come da norma nazionale, mentre le scuole superiori della Puglia sono rimaste chiuse per tutto il mese, applicando il 100 per cento della didattica a distanza per tutti i propri alunni. Eppure, sono due regioni che hanno più o meno lo stesso numero di abitanti (3,7 milioni la Toscana e 4 la Puglia) e una curva dell’evoluzione dei nuovi casi di coronavirus non così differente.

Differenze nel sistema

I dati rappresentati nei grafici di questa pagina evidenziano le differenze di applicazione della didattica a distanza per le sole secondarie di secondo grado. Tuttavia, anche gli istituti di diverso ordine e grado sono stati colpiti da chiusure la cui durata differiva a seconda della regione. Basti pensare che delle sei regioni che hanno reso obbligatoria la didattica a distanza per le elementari, cinque sono al sud (Basilicata, Calabria, Campania, Sicilia e Puglia).

La differenza nell’utilizzo della didattica a distanza è dunque evidente. Come lo sono le gravi conseguenze per l’apprendimento degli alunni di quelle regioni, costretti a gestire la didattica da casa in situazioni più difficoltose (per esempio, in Sicilia solo il 40 per cento delle famiglie ha una connessione a banda larga, mentre al nord è il 60 per cento).

La questione scuola-virus

Guardando a questi dati possiamo trarre alcune conclusioni generali. Primo, è fondamentale avere una visione complessiva di quello che accade nelle varie scuole del paese. In America, non certo il paese che spicca per la miglior gestione della pandemia, i dati sulle scuole sono pubblicati su un sito web. La raccolta dei dati italiani sarà tra le altre cose sempre più complicata: nelle ultime settimane, sono state numerose le ordinanze che rendono zona rossa solo singoli comuni in cui tutte le scuole di ordine e grado vengono chiuse. Inoltre, va tenuto a mente che esistono delle strategie utili per gestire il contagio nelle scuole in maniera uniforme (e non a seconda delle regioni). Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature a firma di diversi ricercatori della Sorbona di Parigi dimostra come esistano diversi protocolli da seguire per arginare la pandemia nelle scuole.  L’altra questione che non va persa di vista è che, a prescindere dall’epidemia, in alcune regioni italiane la questione della didattica a distanza e l’importanza della scuola sembra essere in generale una questione a cui viene attribuita (scarsa) priorità.

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