La polifonia delle crisi si allarga. Dopo la pandemia, la guerra, il caro energia, lo scatto inflattivo, la crescita del costo del denaro e la lievitazione dei mutui, ecco arrivare l’ennesima crisi, quella delle banche. La Silicon Valley Bank ha aperto le danze e subito dopo è arrivata Credit Suisse.

Il sistema bancario continua a mietere vittime e da anni il giudizio positivo su questo universo è ai minimi. Attualmente la fiducia nelle banche si ferma poco sotto il 30 per cento. Con il 61 per cento dell’opinione pubblica nostrana che mostra netti segni di dissenso. Bassa è anche la valutazione della Banca centrale europea del dopo Mario Draghi, con voti positivi espressi da appena un terzo dell’opinione pubblica.

Percentuali analoghe se le aggiudica anche la Borsa, con un quadro di fiducia che si ferma appena sopra al 30 per cento.

Sfiducia

Il dato di disillusione nelle banche, dopo il grande crollo degli anni 2007-2008, non si era mai ripreso fino in fondo. La nuova crisi riapre vecchie e mai sopite ferite nelle persone, anche perché l’opinione pubblica italiana vive da anni un deficit di fiducia complessivo.  

Oltre i due terzi dei cittadini affermano di non fidarsi di nessuno, né delle imprese né delle banche e ritiene entrambi questi attori economici troppo disposti a scaricare i loro costi e le loro incapacità sui consumatori. Un dato di disillusione in crescita nel corso degli ultimi anni, che è passato dal 65 per cento di fine 2020, al 69 per cento di oggi.

Maggiormente delusi risultano l’universo femminile (74 per cento), i ceti popolari (80) e i residenti nelle Isole e nel Centro Italia (75).

La delusione

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Al cuore di questa pesante zavorra di sfiducia c’è la convinzione che i soggetti dotati di maggiori risorse economiche e che svolgono ruoli importanti nella società sono completamente scollegati dal resto della realtà sociale italiana. Per il 75 per cento dell’opinione pubblica, infatti, i cosiddetti “esperti” non comprendono affatto la vita e le esigenze delle persone comuni.

Un sentimento di distacco che prolifera tra i ceti popolari (82 per cento) e nell’universo femminile (78 per cento). La delusione verso il mondo bancario è accentuata anche dal fatto che gli italiani vorrebbero trovare nella banca un soggetto su cui poter contare. Quasi il 40 per cento degli italiani vorrebbe che gli istituti di credito fossero maggiormente impegnati a generare tranquillità per i loro clienti e per le persone che affidano loro i propri risparmi.

Un sesto del paese, inoltre, ritiene che le banche debbano essere parte integrante della comunità ed essere impegnate nella crescita dei contesti locali, nel rafforzamento della microeconomia locale. Quasi un quarto dell’opinione pubblica ritiene che gli istituti di credito debbano rimboccarsi le maniche e pensare non solo a sé stessi, ma essere protagonisti della crescita della collettività, sostenendo le famiglie e le imprese, creando opportunità per i giovani e le giovani famiglie.

La fine dei capitani

Sotto accusa, però, non ci sono solo gli istituti di credito. Il dito è puntato più complessivamente verso il modello economico attuale, il neoliberismo imperante. Per la stragrande maggioranza del paese il neo liberismo contemporaneo è un frutto amaro per la società in quanto strutturato per «avvantaggiare esclusivamente i ricchi e i potenti» (81 per cento).

Ne sono convinti sia il ceto medio sia i ceti medio bassi (85 per cento). Non solo. A finire nel mirino sono i principali protagonisti del neoliberismo contemporaneo: il mondo degli imprenditori e dei manager. Oltre otto italiani su dieci accusano i capitani d’industria e i loro seguaci di essere esclusivamente attenti al profitto e poco interessati alle persone e al benessere comune (82 per cento).

L’opinione sulla classe dirigente italiana, inoltre, è nettamente peggiorata nel corso degli ultimi 10-15 anni. L’epoca dei capitani coraggiosi sembra lontana e i due terzi del paese (64 per cento) è convinto che gli imprenditori del passato e le classi dirigenti di trenta anni fa fossero migliori di quelli di oggi.

Dati così alti di sfiducia nelle élite e nell’universo imprenditoriale hanno ricadute anche sui livelli di tensione sociale tra le masse popolari e la classe dirigente. Il 76 per cento degli italiani, infatti, ritiene plausibile che, nel prossimo futuro, ci siano forme di intensificazione dello scontro tra il popolo e le élite.

La nuova crisi bancaria sopraggiunge in questo clima non roseo e rischia di gettare altra benzina sul fuoco della sensazione che stiamo vivendo un’epoca di crisi ininterrotte, in cui si susseguono le emergenze, senza vedere vie di uscita definitive.

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