Eppur si muove. Con la fatica tipica di chi cerca di risalire la montagna con un macigno sulle spalle, e con il rischio di ruzzolare sempre giù come Sisifo, il nostro Paese sta sperando di uscire dalle sabbie mobili in cui la pandemia scoppiata dal coronavirus l’ha costretta. Le nuvole restano dense e minacciose, con il loro portato di tensioni sociali, rischi e paure.

Una mappa delle emozioni

L’attesa è diventato il primo sentimento degli italiani (33 per cento). Una sensazione che coinvolge in primis gli imprenditori (38 per cento), il mondo di impiegati e insegnanti (39 per cento) e le persone che fanno parte del ceto medio (43 per cento). Sono questi i segmenti che avvertono maggiormente la possibilità di riaccendere i motori e sperano in un cambio di marcia.

La paura, tuttavia, non ha lasciato i lidi del nostro paese ed è il secondo sentimento per peso tra le persone (28 per cento). Essa è dominante tra commercianti e artigiani (34 per cento), tra gli operai (31 per cento) e tra le persone che fanno parte dei ceti bassi (42 per cento). Il confronto tra la speranza dell’attesa e l’incedere della paura mette in luce la frattura che fende la nostra società: da un lato i precari che hanno già la certezza delle difficoltà, gli autonomi che sentono il peso dell’incertezza e gli operai che avvertono il rischio di perdere il posto di lavoro; dall’altro lato l’universo impiegatizio e dei quadri, delle persone che hanno un lavoro garantito che, invece, avvertono la possibilità di una ripresa.

La mappa delle emozioni è eloquente. Tra le persone che hanno contratti precari dominano delusione (49 per cento), paura (40 per cento), tristezza (38 per cento) e rabbia (23 per cento). I lavoratori autonomi si spaccano in due, tra quanti vivono un sentimento di attesa (32 per cento) e quanti navigano nella paura (31 per cento). Rispetto al dato medio (13 per cento) la rabbia alberga maggiormente tra gli operai (17 per cento), i residenti al Nord (16 per cento) e i ceti bassi (20 per cento).

Sentimenti di classe

Tristezza e delusione sono, infine, le emozioni intermedie che si frappongono tra la rabbia e la coppia attesa-paura. La delusione coinvolge il 24 per cento delle persone, mentre la tristezza il 22 per cento. Esse completano il quadro dei sentimenti e palesano la densità delle nuvole che copre il futuro di operai e affini (con la tristezza che tocca il 29 per cento) e dei ceti bassi e popolari (30 per cento).

Paura, tristezza e rabbia sono tornati a essere sentimenti di classe. I sentimenti degli incerti, delle persone che si sentono a rischio, dei soggetti che si percepiscono come «gli scartati» a causa degli effetti, economici e sociali, generati dal Covid-19.

Il ruolo della pandemia

Rispetto alla primavera-estate di un anno fa, il quadro emozionale del Paese mostra ulteriori segnali da tenere in debita considerazione.

Le persone si dicono più preoccupate (34 per cento), più arrabbiate (26 per cento), più informate (23 per cento), ma anche più rassegnate (23 per cento), più disorientate (22 per cento) e meno tolleranti (20 per cento). I livelli di preoccupazione sono in ascesa, rispetto allo scorso anno, tra i lavoratori precari (68%), tra i ceti bassi (40 per cento) e tra quanti vivono a Nordest (50 per cento) e nel centro nord (44 per cento).

La dimensione rancorosa è il secondo tratto in aumento e attanaglia maggiormente il mondo degli operai (35 per cento), dei disoccupati (33 per cento), dei precari (44 per cento) e dei ceti bassi e popolari (31 per cento). Sentimenti che mostrano quanto sia complessa e in salita la strada per la ripresa nel nostro paese.

Una società smarrità

La società italiana permane in un pernicioso stato di smarrimento esistenziale, sovrastata dalla difficoltà nel trovare una sintesi tra aspirazioni e resistenze, tra paure e aperture, tra crescita ed equità. Il pendolo italico oscilla tra il bisogno di protezione e la speranza di soluzioni semplici a problemi complessi. Corre il miraggio dell’affidarsi a «salvatori» che, senza chiedere particolari sacrifici, faccia tornare d’un colpo il ciel sereno. Il paese è spaventato di fronte alla necessità di ripensarsi, di dotarsi di orizzonti più vasti, che vadano oltre il mero presente, oltre il risultato ottenibile nell’immediato.

La prossima sfida

La partita che si apre non è solo quella del singolo governo, ma di quale paese l’Italia vuole essere. In questi anni abbiamo assistito al perenne gioco politico sull’asse nemico-amico, dell’avversità a qualunque forma di dialogo su singoli temi. Una disconnessione che ha avuto il suo suggello nella sostituzione del confronto politico con la tifoseria da stadio, nel proliferare del vuoto individualista, nell’incapacità di identificare temi e obiettivi per lo sviluppo complessivo dell’Italia. La sfida che si apre per i prossimi anni coinvolge la necessità di mutare alcuni paradigmi, per rendere effettiva l’idea di una democrazia in equilibrio, che sa mantenere nella giusta tensione l’indispensabile confronto tra parti e idee contrapposte, con l’esigenza di individuare elementi di convergenza su temi strategici per il futuro.

Un’idea di una democrazia sociale e concreta in cui, come disse oltre trent’anni fa il premier svedese Olof Palme, «i diritti non devono essere riservati a un ristretto gruppo, ma devono essere diritti per tutte le persone».

 

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