Secondo i dati del think tank americano con sede a Washington, Tax Foundation, l’Italia è l’ultima tra i paesi Ocse per competitività del sistema fiscale. In altre parole, secondo tax Foundation, l’Italia è il paese meno in grado di attrarre investimenti. La notizia, detta così sembrerebbe l’ennesima brutta notizia per l’economia italiana. Ma la situazione è più complessa.

Come si calcola la competitività fiscale

Per stilare il suo report, Tax Foundation ha guardato a due caratteristiche principali dei sistemi fiscali dei diversi paesi presi in considerazione. Il primo aspetto preso in esame è quello della cosiddetta “competitività” che si basa sull’analisi delle aliquote fiscali marginali nei paesi.

Secondo il paradigma economico proposto dal report, in un mondo sempre più globalizzato è cruciale per attrarre investimenti esteri mantenere le proprie tasse il più basse possibili. In un altro studio l’Ocse ha inoltre rilevato come la tassa che più danneggia l’attrattività fiscale di un paese sia la corporation tax, ovvero l’imposta sulle società. Il secondo dato preso in analisi dalla Tax Foundation è invece la neutralità ovvero quanto un sistema fiscale varia nella sua tassazione a seconda dei diversi settori e situazioni economiche degli individui.

La neutralità perfetta sarebbe raggiunta nel momento in cui uno stato riuscisse a non causare alcun tipo di distorsione economica con la propria politica fiscale.

La classifica

Secondo Tax Foundation il paese dove le aziende troverebbero un sistema fiscale più vantaggioso è l’Estonia. Il paese guida la classifica ormai da sette anni grazie alla sua struttura tributaria che tassa del 20 per cento solo i profitti delle società e che esenta del 100 per cento i profitti esteri delle aziende domestiche. A seguire ci sono la Lettonia, la Nuova Zelanda e la Svizzera.

L’Italia è invece ultima principalmente a causa delle sue tasse sulla ricchezza e sulle transazioni finanziarie. Un altro aspetto che non gioca a favore dell’Italia è la grande complessità del sistema fiscale che richiede, secondo le stime, 169 ore alle aziende per interfacciarsi con le regole per le tasse sul reddito individuale.

Non tutto è oro quel che competitive

La classifica di Tax Foundation per quanto importante non deve portare a conclusioni affrettate. Innanzitutto, come ricordato dallo stesso report, il sistema fiscale non è l’unico parametro che rende ricca un’economia. Secondo i dati dell’Ocse, infatti, il Pil italiano è superiore sia a quello dell’Estonia sia a quello della Lettonia.

Inoltre, la competizione fiscale fra i paesi europei è già stata causa nel corso degli anni di diverse polemiche fra i vari stati membri. Essere competitivi significa infatti tenere il proprio livello di tasse sempre più basse del vicino, “rubandogli” di fatto le aziende secondo una politica fiscale definita spesso come “aggressiva”.

Un’eventualità che ovviamente non contribuisce a instaurare buone relazioni fra i paesi. L’esempio più eclatante è l’accusa che l’associazione Tax justice network ha fatto questo aprile all’Olanda: secondo lo studio dell’organizzazione impegnata da anni nella lotta ai paradisi fiscali il paese guidato da Mark Rutte ha causato un buco da dieci miliardi a Italia, Spagna e Francia a causa delle sue politiche tributarie troppo aggressive.

A lanciare l’allarme sui rischi di una continua gara al ribasso sulle tasse a livello internazionale è stato anche recentemente il Fondo monetario internazionale che ha invitato i paesi a raggiungere un accordo per una tassa internazionale sui servizi web così da scongiurare una contrazione dell’1 per cento del Pil mondiale. La strada tracciata dalle istituzioni internazionali sembra essere più quella della collaborazione che della competizione.

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