Salvare e tutelare i beni comuni ambientali e il nostro pianeta è una delle priorità per la maggioranza dei cittadini dei paesi del G20. Mentre i capi del mondo discutono e cercano faticosamente delle intese al tavolo di Glasgow, l’opinione pubblica globale è, a maggioranza, schierata e non ha bisogno di complessi tavoli di confronto, né di estenuanti trattative.

La Terra è vicina al punto critico

Il 73 per cento dei cittadini che vive nei paesi del G20 è convinto che, a causa delle attività umane, la Terra è ormai vicina a un punto critico, in cui il clima e la natura possono cambiare improvvisamente e possono diventare sempre più difficili da stabilizzare.

Tra le realtà maggiormente consapevoli di questa emergenza troviamo l’Indonesia (86 per cento), la Turchia, il Brasile (85 e 83 per cento), nonché l’Italia (79 per cento). In fondo a questa classifica si collocano gli Usa (60 per cento), il Giappone e la Gran Bretagna (63 e 65 per cento). È quanto emerge dai dati rilevati da Ipsos e pubblicati nel “The global commons survey, Attitudes to planetary stewardship and transformation among G20 countries”.

Al centro dell’attenzione, in molte nazioni, non c’è solo la preoccupazione per lo stato attuale del nostro pianeta, ma anche l’apprensione per quello che verrà lasciato alle generazioni future. Un assillo che riguarda, in media, il 61 per cento delle opinioni pubbliche dei paesi del G20, con punte dell’83 per cento in Turchia, dell’81 in Messico, del 77 in Brasile e del 72 per cento in Italia.

Non solo. Il 69 per cento dei cittadini che vivono nelle principali economie del mondo concorda sul fatto che i benefici della protezione della natura superino ampiamente i costi che si dovranno sostenere. Ne sono persuasi, soprattutto, brasiliani (87 per cento), indonesiani (85 per cento), ma anche i cinesi (82 per cento). In Italia la quota si colloca al 67 per cento, mentre i meno convinti sono i francesi (44 per cento) e i giapponesi (53 per cento).

La volontà e la spinta a fare di più per la natura e la sua tutela coinvolge l’81 per cento di quanti vivono nei paesi del G20, con picchi del 95 per cento in Indonesia, del 93 per cento nella Cina di Xi Jinping, del 91 in Brasile. In Italia la percentuale è dell’86 per cento, mentre il paese in cui la spinta è un po’ più ridotta è il Giappone (61 per cento).

Cambiare il modello produttivo e il modo di fare impresa

Al primo posto, tra quanti dovrebbero impegnarsi di più sul fronte ambientale, ci sono, per l’opinione pubblica, le imprese. Ai leader economici e ai manager viene chiesto uno sforzo non solo verso la sostenibilità produttiva, ma anche nel riorientare gli scopi aziendali in una direzione che non abbia come unico parametro di successo quello del profitto.

In tutti i paesi del G20, infatti, la maggioranza dell’opinione pubblica (74 per cento di media) è convinta che le imprese e il modello economico liberista dovrebbero essere rimodulati, mettendo al centro dell’agenda manageriale, oltre al profitto, l’attenzione e l’impegno per la salute e il benessere del pianeta e delle persone. A guidare questa spinta, oltre all’Indonesia (86 per cento), troviamo i concittadini di Erdogan (85 per cento), Putin (84 per cento) e Bolsonaro (78 per cento).

L’Italia si colloca al sesto posto (77 per cento) ed è il primo paese europeo per consapevolezza della necessità di un cambio di rotta del modello produttivo delle imprese. Gli altri cittadini europei che spingono con decisione su questo fronte sono i francesi (75 per cento) e i tedeschi (73 per cento). Ultimi, ma pur sempre con una maggioranza schierata per il mutamento del modello economico, sono i cittadini dell’Arabia Saudita (59 per cento) e del Giappone (61 per cento).

Mentre a Glasgow si cercano di definire con fatica, tra mediazioni e compromessi, gli interventi per il pianeta, nelle opinioni pubbliche globali la direzione è tracciata. La società civile, nei vari paesi, ha messo al centro dell’agenda sostenibilità, riduzione delle diseguaglianze, impegno per le future generazioni, lotta alla povertà e riparazione dei danni perpetrati alla Terra e ai beni comuni ambientali. Un modello economico responsabile, ecologico, equo, a peso zero, riparatorio e visionario scorre nelle speranze dei cittadini dei big 20. I leader politici, gli uomini di governo e d’impresa, i manager verranno giudicati su questo fronte e il tempo dei rinvii e degli sconti è scaduto.

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