La cronaca delle ultime settimane ha posto nuovamente all’ordine del giorno il tema della presenza nel nostro paese di nostalgie e pulsioni verso il fascismo.

L'inchiesta di Fanpage sulla campagna elettorale di Milano; l’assalto alla sede della Cgil a Roma; il video, corredato di saluto romano e cori pro duce allo stadio Olimpico, sono solo gli ultimi casi. Nelle viscere di una parte della nostra società il fascismo resta un tema irrisolto.

«Cose importanti»

Per poco più di un terzo degli italiani (36 per cento) i regimi fascisti hanno realizzato cose importanti nei loro paesi. Ne sono conviti i residenti a Nordest (41 per cento) e in Centro Italia (43 per cento), nonché la maggioranza degli elettori di Giorgia Meloni (69 per cento).

Il fascimo è un tema anacronistico? 

Significativo, per identificare l’animus che aleggia lungo lo stivale, è osservare quanti ritengano attuale o anacronistico parlare del fascismo.

Per il 43 per cento è un tema superato, anzi è bollato come la «solita manovra retorica cui ricorre la sinistra quando non ha argomenti».

Questa opinione è particolarmente vivida tra le fila degli elettori di Fratelli d’Italia (70 per cento), ma è ben presente nei ceti popolari (52 per cento), nel ceto medio-basso (47 per cento), nonché tra i residenti delle isole (50 per cento) e del Nord-est (47 per cento).

Il senso anacronistico non coinvolge solo i partiti di centrodestra (57 per cento in Forza Italia, 67 nella Lega), ma lo ritroviamo tra gli elettori indecisi (42 per cento), tra i pentastellati (36 per cento) e, in forma ridotta, anche tra le fila del Pd (15 per cento).

Tra i giovani, il 40 per cento reputa sorpassato il discorso sul fascismo, mentre nella Generazione X (i nati dal 1965 al 1979 e cresciuti nel cuore degli anni Ottanta) la percentuale lievita al 46 per cento.

Dopo l’assalto alla sede della Cgil 

Il dato più significativo, nonostante il clamore suscitato dall’assalto alla sede della Cgil, è quello relativo alla necessità di reprimere i movimenti che inneggiano al duce e al regime.

La quota di favorevoli è rimasta, più o meno, la stessa rispetto a un anno fa. Nel dicembre 2020, il 70 per cento degli italiani si diceva favorevole alla repressione. Una quota che, allora, saliva al 76 per centro nelle fila dei giovani della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2010), ma scendeva al 65 per cento tra le fila delle Generazione X.

Fra quanti erano favorevoli alla repressione c’erano porzioni non secondarie di elettori di Fratelli d’Italia (43 per cento), anche se il dato toccava il suo apice tra i supporter di Pd (92 per cento) e M5s (80 per cento).

Pochi giorni dopo l’assalto alla sede della Cgil la percentuale di quanti ritengono giusto mettere fuori legge le associazioni o i partiti che si richiamano al fascismo è cresciuta di un solo punto (71 per cento).

Se la vicenda non ha mutato gli equilibri complessivi, ha inciso su una parte dell’elettorato di Giorgia Meloni. La sua base, dopo la vicenda della Cgil, si spacca in due, con una metà (50 per cento) favorevole alla repressione (con un incremento di 7 punti rispetto al 2020) e l’altra metà suddivisa tra i nettamente contrari (18 per cento) e i silenti (32 per cento che non sa).

Il dato, tuttavia, non sembra essere il risultato di una riflessione autocritica sul tema, bensì il prodotto dell’ampliamento della base elettorale di Fratelli d’Italia. La crescita di consensi registrata nell’ultimo anno ha inglobato persone provenienti da storie politiche differenti, ex Pdl, Lega, M5s o centristi.

Elettori che non hanno legami nostalgici e che, anzi, sono particolarmente infastiditi da questi rigurgiti. Dal punto di vista dei segmenti sociali, l’ipotesi di repressione dei movimenti fascisti trova più freddi, rispetto la media, i ceti popolari (66 per cento), gli operai (64 per cento), i disoccupati (63 per cento) e i lavoratori autonomi (59 per cento).

Il tema del rapporto col fascismo mostra, oggi come ieri, il carattere anomalo e anti-sistema che la destra italiana porta con sé dalle origini.

In particolare, come sottolineava il politologo Marco Revelli, sfoggia il permanere, in alcuni segmenti della società, di tratti anti-liberali e totalitari, in cui la pulsione nostalgica verso il fascismo si coniuga con la tensione critica e il rifiuto epidermico e empatico dei valori e delle regole del modello democratico.  

© Riproduzione riservata