Nel suo intervento di richiesta della fiducia al parlamento, Il neo presidente del Consiglio Mario Draghi ha sottolineato che i progetti del Next Generation Eu dovranno essere volti a migliorare il potenziale di crescita dell’economia italiana. Il Recovery Plan (Piano nazionale di ripresa e resilienza) ha lo scopo di attuare il programma Next Generation EU, varato dall’Unione come integrazione del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, per far fronte alle conseguenze economiche e sociali della pandemia. L’intervento europeo, a sostegno delle economie dei diversi Paese, piace agli italiani e la maggioranza (l’82 per cento) ritiene che i finanziamenti previsti dal Recovey fund arriveranno realmente. Non solo. Oltre i tre quarti del Paese (77 per cento) valuta i fondi previsti come uno strumento per modernizzare l’Italia in una direzione sempre più green e digitale. Finanziamenti che dovrebbero portare, secondo le attese dell’opinione pubblica, a una riduzione delle diseguaglianze, alla promozione delle pari opportunità, alla riduzione divario Nord-Sud, a un reale passo in aventi verso una società più sostenibile.

Uno sguardo di lungo periodo

La fiducia e le attese riposte nel Recovery fund sono tante e alte, come illustrano i dati recenti dell’osservatorio Legacoop-Ipsos. In particolare, la maggioranza dell’opinione pubblica chiede al Governo, al Parlamento e ai partiti politici di non spendere queste risorse solo per l’emergenza, ma di investirli per sviluppare una progettualità di lungo periodo (69 per cento). Una vision che, per il 48 per cento, significa anche mettere mano a questioni aperte da tempo, come ammortizzatori sociali, giustizia, istruzione e formazione, divario nord sud, investimenti in infrastrutture, adeguamento del sistema di welfare. Le opinioni degli italiani sull’utilizzo del Recovery sono segnate dal alcune differenze marcate dalla condizione sociale delle persone. Distinzioni di cui è utile tenere conto per far sì che i fondi, rimettendo in moto il Paese, siano in grado di allentare le fratture sociali presenti nella società. In questa direzione va la richiesta di attenzione che arriva dai ceti popolari e bassi e la loro richiesta di azioni volte non solo al lungo periodo (56 per cento contro il 69 per cento di media), ma anche di interventi in grado di agire immediatamente su alcune distonie acute (il 44  per cento dei ceti bassi e popolari, rispetto al 31 per cento della media nazionale, è a favore di un uso dei fondi per far fronte all’emergenza). La necessità di usare il recovery fund per affrontare alcune ataviche problematiche nel nostro Paese, in primis la distanza tra Nord e Sud, è segnalata dai residenti nelle regioni del Mezzogiorno: il 51 per cento (rispetto al 48 per cento della media nazionale) auspica interventi volti a ricucire le distanze tra le diverse zone dello stivale.

I dubbi e le capacità di spesa

“Il pericolo di deludere le speranza è alto – ha affermato il presidente di Legacoop Mauro Lusetti -  e le classi dirigenti di questo paese hanno una grande responsabilità”. Il grido di allarme del numero uno delle cooperative italiane porta alla luce i timori sulla capacità dell’Italia di riuscire a spendere realmente i fondi, che aleggiano in una buona parte dell’opinione pubblica. Il paese appare diviso in due fazioni. Da un lato, il 53 per cento ritiene che il nostro sistema sarà all’altezza dell’impegno, mentre, dall’altro lato, il 47 per cento nutre sostanziosi dubbi sulla capacità di spesa.

Perplessità che sono molto più forti nei ceti bassi e popolari (55 per cento), rispetto al ceto medio (42 per cento); che attanagliano maggiormente i lavoratori autonomi, i commercianti e gli artigiani (51 per cento), nonché i disoccupati e le persone in cerca di lavoro (60 per cento). Sulla capacità di spesa dei fondi, infine, ci sono maggiori perplessità tra i residenti del Nord (57 per cento a Nordest e 54 per cento a Nordovest), rispetto a quanti vivono nel centro-sud (41 per cento). Gli ostacoli che alimentano nell’opinione pubblica una istintiva prudenza verso la reale capacità di spesa del nostro Paese hanno nomi ben noti. Si chiamano burocrazia (45 per cento), inadeguatezza della classe dirigente italiana (43 per cento), corruzione (41 per cento), mancanza di accordo tra lo Stato centrale e amministrazioni regionali e locali (25%), ma anche scontri e liti tra i partiti e dentro i partiti a livello centrale (27 per cento), incapacità di definire i piani operativi da parte delle strutture tecniche deputate (30 per cento) e, più complessivamente, una perniciosa arretratezza del nostro Paese (14 per cento).

Progetto Italia

La prova posta dal Recovery fund è pari a quella di un New Deal nazionale, che oltre a essere green e digitale, dovrà anche essere a prova di corruzioni, socialmente equo e in grado di ricucire le fratture sociali presenti, attivo e determinato nel rigenerare opportunità di genere, generazionali e per i ceti più bassi. Una sfida che non implica solo la capacità di spendere, ma si fonda sulla capacità di avere e perseguire un progetto di Italia, una vision di futuro, un pensiero strategico. Una sfida su cui verrà misurata e sarà giudicata l’intera classe dirigente nostrana, da quella dei partiti a quella delle imprese, del mondo dell’economia, delle associazioni di categoria, degli enti locali e regionali.

 

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