Il 25 aprile è la festa che ci parla delle fondamenta della nostra Repubblica. Il giorno che ci ricorda che la democrazia nel nostro Paese non nasce per caso, ma è il frutto della lotta di una parte del Paese contro l’occupazione nazista, il regime e l’ideologia totalitaria fascista. Nella società italiana, nonostante siano passati oltre sette decenni, permangono divisioni e contrapposizioni sull’esperienza del Ventennio mussoliniano e sull’ideologia totalitaria di cui è portatore il fascismo. Un “noi diviso”, come direbbe Remo Bodei, che si mantiene vivido, alimentando la difficoltà a generare una dimensione unitaria sulle fondamenta della democrazia del nostro Paese e su un possibile passato condiviso.

Il rapporto con il fascismo 

A settantasei anni dal 25 aprile 1945, poco più di un terzo degli italiani (36 per cento) ritiene che il regime fascista abbia realizzato cose importanti per l’Italia. Una posizione maggiormente intensa nel Nordest del Paese (41 per cento) e nel Centro Italia (43 per cento), mentre appare meno marcata nel Nordovest (32 per cento). Il giudizio sul portato del regime separa nettamente in due il campo politico: su un versante, gli elettori del Partito democratico (14 per cento di giudizi positivi); in mezzo, i sostenitori di Cinquestelle (36 per cento di giudizi positivi) e Forza Italia (39 per cento); sull’altro versante, i supporter di Lega (63 per cento) e Fratelli d’Italia (69 per cento). 

Una maggiore unitarietà, invece,  si riscontra sull’opportunità di reprimere quanti inneggiano all’ideologia fascista. Un’esigenza ritenuta molto importante dal 44 per cento degli italiani e abbastanza importante dal 26 per cento, contrari, invece, il 22 per cento (l’8 per cento non si schiera). Complessivamente la necessità di reprimere chi inneggia al fascismo incontra l’accordo del 70 per cento degli italiani, con una spaccatura evidente tra gli elettori dei diversi partiti. L’inibizione è richiesta dal 92 per cento degli elettori del Pd, dal 77 per cento di M5s e dal 75 Forza Italia, per arrivare al 42 per cento tra i supporter della Lega e al 40 tra quelli di Fratelli d’Italia. Dal punto di vista delle classi sociali, il ceto medio è maggiormente schierato sul fronte della condanna dell’ideologia fascista (71 per cento), mentre tra i ceti popolari il quadro è più indulgente. Quanti inneggiano al mussolinismo, infine, generano maggiore apprensione tra i giovani (76 per cento), mentre tra gli over 55 anni il dato è più calmierato (65 per cento).

Il quadro torna a mutare  se analizziamo la quota di persone che ritiene anacronistico parlare ancora oggi di fascismo. Una posizione espressa dal 43 per cento degli italiani, in particolare dai residenti a Nordest (48 per cento), da quanti vivono in Sicilia e Sardegna (50 per cento) e dai quaranta-cinquantenni (46 per cento). L’anacronismo delle dispute sul fascismo è maggiormente avvertito dagli uomini rispetto alle donne (47 per cento contro 40 per cento) e dai ceti bassi e popolari rispetto al ceto medio (52 per cento contro 36 per cento). Lo scenario politico ripropone la divisione lungo l’asse destra e sinistra, con solo il 17 per cento dei supporter del Pd che giudicano come una cosa fuori dal tempo parlare di fascismo, a fronte del 69 per cento presente tra gli elettori di Giorgia Meloni. All’interno di queste due polarità, quanti giudicano il tema del fascismo un’anticaglia del passato, risultano essere il 41 per cento degli elettori indecisi, il 44% dei pentastellati, il 64% dei fan berlusconiani e il 67 per cento dei sostenitori della Lega.

La guardia alta contro le pulsioni totalitarie

Il quadro dei sentiment che aleggia nel Paese mostra la perdurante difficoltà a generare uno spazio pubblico unitario, in cui contenere, pur nelle differenze, le diverse sensibilità e i molteplici percorsi valoriali e storici. Il tema dell’attenzione alle pulsioni e alle ideologie totalitarie non ha una valenza solo per il passato, ma è centrale per il futuro del nostro Paese e della nostra democrazia. Non si tratta di una importanza ideologica, bensì della necessità di mantenere sempre alta la guardia rispetto alle pulsioni e alle tensioni antidemocratiche che possono generarsi nella società. Un’attenzione che non si deve sopire specie in una realtà come quella italica che, da oltre 15 anni, è transitata da una crisi all’altra (non ultima quella pandemica) e che sta vivendo un corposo processo di sfarinamento del ceto medio. La tensione verso le pulsioni totalitarie, ci ricorda il filosofo tedesco Theodor W. Adorno, dovrebbe essere suggerita dalla consapevolezza che “la macchina anti-democratica si avvia con l’impoverimento della classe media, che la crisi porta con sé”. Il declassamento, precisa uno dei padri della scuola di Francoforte, accende la rabbia e la ricerca di un colpevole. “Punire – afferma Adorno - fa sentire il declassato meno declassato, dal momento che colpendo il capro espiatorio egli sente di avere ancora qualcuno sotto di sé”. Nonostante le parole del filosofo tedesco siano state pronunciate circa sessant’anni fa, restano un monito significativo ed è bene ricordarle proprio in questo 25 aprile 2021 che cade nel cuore di una pandemia i cui effetti collaterali, dal punto di vista economico e sociale, non hanno ancora mostrato pienamente la propria portata.

© Riproduzione riservata