Dopo un aumento dei prezzi molto consistente nel corso del 2021, legato soprattutto al rimbalzo della domanda con il miglioramento della crisi sanitaria e alle restrizioni dell’offerta dovute alla scarsità di materie prime e semilavorati e al rallentamento delle catene globali del valore, ci si aspetta un ulteriore aumento dei prezzi dovuto alla guerra in Ucraina, già in parte realizzato, per esempio con il boom del prezzo della benzina.

Partiamo proprio dagli aumenti dei prezzi che si sono già registrati: nelle ultime settimane, il prezzo del petrolio è cresciuto fino a 50 dollari al barile rispetto a un anno fa, mentre quello del gas ha subito aumenti ancora superiori: secondo i dati elaborati dall’Ocse, il gas europeo è arrivato a costare anche oltre 200 $/MWh e si è stabilizzato oltre i cento dollari, contro poco meno di 20 $/MWh all’inizio del 2021. L’aumento del prezzo del gas naturale è stato così elevato rispetto a quello del petrolio a causa della fortissima dipendenza dell’Unione europea dalla Russia: nel 2020, infatti, quasi il 40 per cento delle importazioni di gas arrivavano dal paese di Putin. Naturalmente, gli aumenti dei costi delle materie prime hanno causato pesanti rincari sul prezzo della benzina e sulle bollette, richiedendo anche l’intervento del Governo.

Per provare invece a capire quale sarà l’impatto della guerra e delle tensioni internazionali sui prezzi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, dati e previsioni molto utili vengono forniti dall’Interim Economic Outlook di marzo 2022 dell’Ocse.

Oltre alla dipendenza dal gas e dal petrolio russo, i paesi occidentali contano su Russia e Ucraina per molte altre materie prime, in particolare per quanto riguarda i beni alimentari e l’agricoltura. La Russia fornisce il 20 per cento delle esportazioni mondiali di grano, cui si aggiunge un ulteriore 10 per cento proveniente dall’Ucraina, che rappresenta anche il 13,5 per cento dell’export mondiale di granoturco. In Russia, inoltre, si producono in grande quantità fertilizzanti agricoli a base di cloruro di potassio: poco meno di un quarto dei fertilizzanti esportati nel mondo provengono da lì. A questi prodotti del settore dell’agricoltura, si aggiungono poi quote rilevanti di esportazioni di metalli preziosi e non, come palladio, nichel, platino e oro, soprattutto dalla Russia.

Con la guerra tra i due paesi e le pesanti sanzioni imposte alla Russia dall’Occidente, è naturale aspettarsi un crollo dell’offerta mondiale di questi prodotti, con conseguente spinta al rialzo sui prezzi. Secondo l’Ocse, anziché crescere del 5,3 per cento come previsto in precedenza, il livello dei prezzi dei beni alimentari nel mondo potrebbe crescere del 8,5 per cento nel 2022 in uno scenario di crisi moderata con una risoluzione del conflitto in Ucraina relativamente rapida, mentre potrebbe arrivare addirittura a +12,6 per cento in caso di totale blocco delle esportazioni di beni agricoli dall’Ucraina nel 2022. Le conseguenze sul prezzo dei prodotti agricoli, dei mangimi e dei prodotti di allevamento nel mondo sarebbero quindi molto gravi, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

L’aumento dei prezzi colpirebbe soprattutto le fasce meno abbienti

L’inflazione, è noto, è una “tassa” che colpisce soprattutto due categorie: i lavoratori dipendenti e assimilati (ossia i pensionati), che, ricevendo un reddito fisso, non possono aggiustare le proprie entrate in base all’andamento dei prezzi, almeno nel breve periodo, e le famiglie meno abbienti, che hanno un molto meno margine nel rivedere le proprie spese di fronte a un aumento dei prezzi, dal momento che la quota di spesa che potremmo definire superflua è molto inferiore rispetto a quella delle famiglie più ricche. Questa considerazione, valida nella maggior parte dei casi, diventa ancora più rilevante nel caso di questa crisi inflattiva. I prodotti che trainano la crescita dei prezzi, infatti, sono soprattutto quelli che pesano di più sul bilancio delle famiglie più povere: beni alimentari ed energia. Secondo il bollettino Istat sull’inflazione a dicembre 2021, infatti, la spinta inflattiva del 2021 aveva già danneggiato maggiormente le famiglie più povere, con un aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le fasce meno abbienti pari al 2,4 per cento durante il 2021 rispetto al +1,6 per cento per quelle più ricche.

Andando a vedere i beni e servizi considerati da Istat per il calcolo dell’inflazione, suddivisi per livello di benessere delle famiglie, si notano forti differenze nella composizione dei diversi panieri di consumo in base al livello di reddito: per le famiglie più ricche, per esempio, hanno un peso maggiore i servizi ricreativi e culturali, mentre il peso dei beni alimentari e quello dell’energia calano al crescere del reddito. Cosa significa? Che le famiglie più povere, che sono più esposte alla crescita dei prezzi degli alimenti e dell’energia, proprio i prodotti il cui prezzo crescerà di più a causa della guerra, subiranno ancor più degli altri questa nuova ondata di inflazione causata dal conflitto.

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