Sono centinaia di migliaia di persone ogni anno, e negli ultimi tempi non hanno fatto che crescere. Le nostre sorelle, i nostri cugini, magari parenti un po’ più lontani di cui si parla una volta a cena con sotto forse un filo d’invidia. Compagne di classe, amici d’infanzia: se non siamo addirittura noi stessi, qualcuno che ha lasciato la terra in cui è nato per studiare altrove alla fine lo conosciamo tutti. Tanti non torneranno più. È una migrazione che non fa troppo rumore, ma anche sotto voce e senza nessuno che la racconti resta uno dei pezzi che ha sempre fatto e continua a fare l’Italia per quello che è.

I numeri del ministero dell’istruzione possono farci capire un po’ meglio chi sono, tutte queste persone. Da dove partono, e per andare in che luogo? Quali sono le aree da cui gli universitari emigrano di più, e quali le più ambite? A conti fatti, viene fuori, la provincia di Lecce è quella con il maggior numero di studenti e studentesse iscritti in un ateneo fuori dalla propria regione di residenza: 79mila persone che hanno lasciato il loro paese di origine per cercare fortuna altrove, solo nei cinque anni passati fra il 2014 e il 2019. Pochissime fra loro sono rimasti nel meridione, persino per spostarsi nelle aree vicine. E al contrario quasi tutte hanno viaggiato verso nord, spesso fermandosi nel centro Italia e in particolare a Roma, oppure proseguendo ancora più su fino ad arrivare in Emilia-Romagna – magari in Lombardia. Il Lazio è uno dei grandi magneti che attirano ragazze e ragazzi che intendono laurearsi, un fenomeno a tre poli completato appunto da Emilia-Romagna e Lombardia. A pesare gli elementi sono diversi. Certo la vicinanza geografica aiuta, e per un universitario la possibilità di tornare un po’ più facilmente a casa, almeno ogni tanto, un valore sembra averlo. Così che il Lazio attira molto persone dal meridione, con per esempio molti napoletani, mentre il settentrione un po’ da tutto il resto d’Italia. Chi è nato al nord d’altra parte tende a restarci, e solo in rare occasioni le persone si spostano in giù. Prendiamo Verona, le prima provincia in quest’area per numero totale di studenti che si muovono verso un ateneo fuori regione: qui semmai ci si muove ancora più a nord, tanto che troviamo un grosso flusso diretto in Trentino-Alto Adige. Quando non è così gli iscritti vanno magari leggermente a ovest, in Lombardia, a est in Friuli-Venezia Giulia, persino a sud in Emilia-Romagna, ma andando ancora più verso meridione i numeri diventano ben minori. In questi cinque anni, per fare un esempio, risultano appena quattro iscritti residenti a Verona o Treviso e diretti in Basilicata.

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Questi sono i flussi complessivi. Ci danno un’idea di massima dei grandi movimenti che ci passano sotto gli occhi ogni volta che prendiamo un treno, e vediamo ragazzi e ragazze con uno zaino carico fino all’orlo di provviste da casa. Ma in un certo senso è un punto di vista solo parziale, perché non considera che l’emigrazione non ha lo stesso peso in luoghi diversi. Un conto è se vanno via alcune persone dalla provincia di Napoli, che ha solo un filo meno abitanti dei 3,2 milioni di quella di Milano, un altro è se si spopolano parti della Sardegna o della Basilicata o del Molise già assai meno abitate. In queste ultime anche solo un piccolo numero di emigrati vale tantissimo.

A voler costruire una mappa di quanto pesa l’emigrazione degli universitari sul totale degli abitanti, provincia per provincia, si vede chiaramente una grande macchia scura nel meridione. In particolare proprio in Basilicata dove gli iscritti in un ateneo fuori regione sono circa trenta volte in più rispetto alla provincia di Lecco – dove invece ne sono stati registrati meno.

Nelle aree del nord sono soltanto due le province con valori relativamente alti: La Spezia e Aosta. Nella prima forse non è poi una cosa così strana, poiché è vicinissima alla Toscana e infatti quasi due persone su tre si sono recati proprio lì. Qualcosa di simile vale anche per Aosta, i cui studenti si spostano spessissimo in Piemonte che d’altra parte uscendo dalla piccola regione del nord-ovest sarebbe piuttosto difficile schivare.

Non solo l’emigrazione più intensa parte dal meridione, ma lì è anche più problematica. Da un punto di vista demografico, suggeriscono le previsioni dell’Istat, nei prossimi decenni il sud probabilmente si spopolerà molto, mentre si prevede “negli anni a venire uno spostamento del peso della popolazione dal mezzogiorno al centro-nord del Paese. Nel 2065 il centro-nord accoglierebbe il 71 per cento di residenti contro il 66 per cento di oggi; il mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29 per cento contro il 34 per cento attuale”.

La scala del cambiamento è talmente grande che diventa persino difficile figurarsela a mente: dai poco più di 14 milioni di persone del 2017, il meridione dovrebbe, nello scenario ritenuto più plausibile dall’istituto di statistica, perdere quasi un abitante ogni quattro scendendo così a 10,7 milioni nel 2065.

Gli universitari, e con loro più in generale tutti i giovani che emigrano via dal sud, sono il seme di questa evoluzione. Con loro cominciano future famiglie mai nate nella loro terra natale, talento, impegno e una nuova vita lì dove sperano che le cose possano andare meglio.

I grandi centri come Roma e Milano attirano più che respingere, ma questo non significa che anche i nati lì ci restino per forza. Negli ultimi cinque anni censiti dalle statistiche del ministero, per esempio, la fetta più grande di romani che hanno deciso di studiare fuori regione si è spostata in Lombardia, che da sola è valsa più delle vicine Campania e Abruzzo messe insieme. Solo invece poche centinaia di persone, in ogni caso, per atenei pugliesi, calabresi o siciliani.

Il flusso inverso, da Milano al Lazio, appare al contrario ben minore. Tanto che in effetti iscritti e iscritte dal capoluogo lombardo si dirigono certo nella regione del centro come prima destinazione, ma preferiscono il Piemonte solo un po’ meno spesso, con l’Emilia-Romagna come terza località frequente.

Chi arriva da Napoli, per parte sua, molto probabilmente decide di studiare nel vicino Lazio, regione che rappresenta di gran lunga il flusso più movimentato. La Lombardia appare invece come la destinazione che viene dopo, ma a distanza.

Se torniamo indietro di qualche anno notiamo facilmente che il numero di chi studia fuori regione è in aumento. Iscritti e iscritte di questo tipo erano circa 380mila nel 2014, per poi salire in maniera costante fino a raggiungere i 450mila nel 2019, ultimo anno per cui abbiamo informazioni. L’ultimo rapporto dell’ANVUR, l’agenzia pubblica che si occupa di analizzare il sistema universitario italiano, mostra che il tasso di mobilità verso il centro-nord degli immatricolati del sud sia aumentato dal 2010/11, per poi stabilizzarsi a livelli elevati e con solo una leggera flessione nel 2017/18. Qui però vengono appunto le matricole, ovvero iscritti e iscritte al primo anno, per cui i risultati sono in qualche misura diversi rispetto ai numeri del ministero che invece contano chiunque sia iscritto.

D’altra parte è ancora troppo presto per sapere quali saranno gli effetti dell’epidemia di Covid-19, per cui si possono fare solo ipotesi, ma tutto considerato le circostanze potrebbero portare a una qualche (magari soltanto temporanea) inversione di tendenza. Ma al di là delle supposizioni non c’è altro che aspettare i numeri aggiornati.

Come succede sempre quando facciamo grandi discorsi generali, comunque, alla fine ogni territorio fa storia a sé. La cosa migliore allora resta sempre fare un salto nei numeri e cercarsi, così da capire come vanno davvero le cose dove viviamo.

Tutto questo parlare di emigrazione universitaria non deve farci pensare che tutti gli iscritti o le iscritte vadano fuori a studiare, perché in effetti così non è. Chi fa questa scelta rappresenta comunque una minoranza – benché sostanziosa – del totale, che pesa grosso modo per un’iscrizione ogni quattro fra tutte quelle censite dal ministero.

Anche qui, di nuovo, i numeri generali nascondono grandi variazioni fra province. E se solo una piccola parte di chi nasce a Roma e si iscrive all’università va altrove, troviamo anche altre aree come Lecce dove capita il contrario: per ognuno che resta ce n’è un altro che parte.

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