I dazi trumpiani colpiranno la domanda di servizi di trasporto, quella dei veicoli, e l’ambiente, in modi che meritano molta attenzione. Le filiere logistiche si accorceranno, colpendo soprattutto la mobilità delle merci sulla lunga distanza via nave, mentre per la produzione di aerei sembra che gli Stati Uniti siano il paese più a rischio, l’Europa potrebbe addirittura avvantaggiarsi
La variabilità delle esternazioni trumpiane è tale che si può solo parlare di un aumento generalizzato dei dazi americani, che comunque rimane un fatto rilevante. Tre sono gli impatti da considerare per il settore dei trasporti: la domanda di mobilita delle merci e delle persone, la domanda dei diversi mezzi di trasporto, e infine l’ambiente.
La domanda di trasporto merci internazionale è destinata a diminuire sia per il possibile calo del Pil mondiale, sia per le filiere logistiche più corte, cioè per produzioni meno a rischio di turbolenze internazionali, più “vicine a casa”. Anche perché “riportare a casa” molte produzioni è un obiettivo dichiarato di Trump.
Questa diminuzione può avere anche qualche rimbalzo positivo per gli scambi nel resto del mondo: i mercati dei noli (cioè i prezzi del trasporto via nave) tendono a cambiare velocemente con la domanda, quindi potrebbero ridursi molto, a beneficio dei paesi che manterranno più aperti gli scambi internazionali.
Questo anche se il mercato dei noli presenta un certo grado di oligopolio, poiché le tre maggiori compagnie marittime, MSC, APM-Maersk, e CMA-CGM, controllano una quota dominante della capacità totale delle navi porta-container. La mobilità internazionale delle persone, in particolare il turismo dagli Stati Uniti, potrebbe soffrirne, se il dollaro continua a indebolirsi.
Ma questo potrebbe essere controbilanciato dalla crescita ininterrotta del turismo cinese. E nel turismo possono anche verificarsi modifiche a causa di “simpatie politiche”, come quelle che hanno comportato un repentino calo delle vendite delle auto Tesla di Musk.
La mobilità interna di merci e persone varia principalmente con il Pil, quindi non cambierà molto.
Per la domanda di mezzi di trasporto, occorre ricordare che le navi mercantili sono prodotte principalmente in Cina, nella Corea del Sud e, al terzo posto, in Giappone. Un certo calo è possibile, ma non repentino: Trump è un fenomeno che tutti si aspettano passeggero, dati gli effetti negativi che sembra avere anche sull’economia americana.
Certo, è davvero difficile che gli Stati Uniti riescano a riportare a casa la cantieristica navale. Anche il mercato degli aerei è caratterizzato da un sostanziale duopolio, in questo caso tra Europa con l’Airbus e gli Usa con la Boeing. Verosimilmente la Boeing, già in difficoltà a causa di alcuni gravi incidenti, ne soffrirà di più.
Infatti, oltre il fatto che la Cina (un grande mercato) ha immediatamente bloccato gli ordini di aerei Boeing, altri paesi vedranno con molto più favore i velivoli Airbus. Un bene per l’Europa? Sicuramente, ma va anche detto che le forniture di Boeing sono molto più internazionalizzate di quelle di Airbus e la stessa Italia produce parti di fusoliere per il colosso americano degli aerei. Anche qui, riportare in patria (re-shoring) la componentistica aerea è un obiettivo difficile in tempi brevi per gli Stati Uniti.
Certo, Trump potrebbe imporre per via negoziale l’acquisto di aerei americani, e tamponare così qualche falla per Boeing. Ma la perdita di immagine rimarrebbe pesante.
Airbus rimarrà l’unico produttore non americano: un forte vantaggio, visto che questo è uno dei pochi settori ad elevata tecnologia dove la Cina non è riuscita ad inserirsi.
Veniamo ai mezzi di trasporto economicamente dominanti, l’automotive: automobili, camion e autobus, e loro componenti. Qualcuno amplierà impianti in Usa (ha già iniziato Toyota), ma certo non i cinesi, oggi assenti da quel mercato. Anche qui Trump potrebbe imporre di comprare “più americano”, ma non certo molto, dato l’elevato livello di concorrenza che esiste nel settore, e l’incidenza dei costi di trasporto dei prodotti finiti.
Il sostanziale negazionismo trumpiano rallenterà la conversione all’elettrico dell’automotive Usa, contribuendo a rendere le loro produzioni invendibili, anche a causa delle economie di scala che gli altri paesi raggiungeranno nella propulsione “verde”. La Cina, già leader indiscusso nel settore, avrà gioco facile su tutti.
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