Una politica fondata sulla paura, sulla ricerca del capro espiatorio, fatta di provvedimenti contradittori, e incapaci di affrontare la questione nella sua reale dimensione: è questo il giudizio che da buona parte del mondo cattolico organizzato si sta dando in queste ore del cosiddetto decreto Cutro con il quale il governo si  appresta a fronteggiare la ripresa forte dei flussi migratori verso il nostro paese.

A ciò si aggiungono le parole di Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, sul rischio di “una sostituzione etnica” che correrebbe l’Italia a causa dell’arrivo dei migranti. «Non possiamo arrenderci all'idea della sostituzione etnica – aveva detto il ministro - gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada».

A stretto giro era arrivata la risposta di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, il quotidiano della conferenza episcopale, che in una nota pubblicata ieri affermava: «Sostituzione etnica, ovvero l’evocazione di un complotto o comunque di un progetto, per cancellare un popolo e la sua storia attraverso l’insediamento di invasori “alieni”, è un concetto semplicemente e duramente agli antipodi dell’umanesimo fraterno cristiano, della civiltà europea e dei valori di solidarietà e di pace sui cui da tre quarti di secolo abbiamo cercato di costruire almeno nel nostro continente, dopo l’immane tragedia bellica e gli stermini che annerirono e insanguinarono il cuore del Novecento, una società a misura d’uomo e di donna».

Crescono illegalità e sfruttamento

D’altro canto, già diverse organizzazioni cattoliche, oltre che laiche, avevano sottoscritto l’appello dal titolo “Invertire la rotta” contro la conversione in legge del decreto Cutro promosso dal Tavolo Asilo e Immigrazione.

Fra queste anche la Comunità Papa Giovanni XXIII, che in un comunicato spiegava in questi termini il proprio dissenso di fronte alle scelte compiute dal governo: «Consapevoli della complessità della situazione riteniamo la scelta del Consiglio dei Ministri di dichiarare lo stato di emergenza per sei mesi e le conseguenti azioni, non sufficienti ad arginare un problema di entità mondiale e non volte a dare soluzioni efficaci in termini di accoglienza e integrazione. Ci preoccupano in particolare i provvedimenti che mirano a smantellare la protezione speciale, senza la quale ci saranno decine di migliaia di persone irregolari in più, con il conseguente aumento del lavoro nero, lo sfruttamento e l'evasione fiscale e contributiva».

Il nodo Bossi-Fini

«Riteniamo che in generale non si debba procedere a colpi di decreto perché in una materia così complessa occorre prendere in mano tutto il fenomeno migratorio nel suo insieme» spiega a Domani, padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, organismo dei gesuiti che si occupa dell’accoglienza dei rifugiati. Nel decreto, secondo padre Ripamonti, sono comprese questioni molto diverse fra loro: dai decreti flussi ai reati legati all’immigrazione clandestina, alla cancellazione della protezione speciale.

«Se gli interventi legislativi sono semplicemente finalizzati a bloccare i migranti o per rendere più difficoltosa la partenza di queste persone, non hai risolto il problema hai semplicemente messo una toppa, una pezza, che non ha affrontato in realtà la questione. Il fenomeno è così complesso che se intervieni con dei piccoli decreti perdendo la visione d'insieme, non hai veramente messo mano al problema, però, certo, è molto più semplice semplificare tutto e dire che basta a bloccarli». Secondo il Centro Astalli è l’impianto stesso della legge Bossi-Fini che andrebbe rivisto radicalmente, una normativa vecchia di 25 anni inadeguata alla profonda trasformazione del fenomeno.

Vie legali e sicure

Più di una perplessità viene sollevata anche in merito alle norme che inaspriscono le pene verso gli scafisti. «Gli scafisti sono l'ultima ruota del carro di un sistema illegale, in molti casi non fanno neanche parte della rete criminale, ma sono scelti dai trafficanti all’ultimo tra i migranti che stanno cercando di raggiungere l'Italia e l’Europa» dice a Domani padre Giuseppe Riggio, direttore della rivista della Compagnia di Gesù “Aggiornamenti sociali”.

La soluzione, spiega a sua volta padre Ripamonti, è dare vita a vie di accesso legali e sicure, non esigue numericamente come i corridoi umanitari: «Devi farlo in modo strutturale con numeri veri perché se il tuo intervento sulla legalità resta marginale è ovvio che non hai contrastato né lo scafista né il traffico, bisogna incidere, aprendo vie legali, sui numeri reali di quanti vogliono raggiungere l’Italia e l’Europa».  

In quanto all’abolizione della protezione speciale, secondo il direttore di Aggiornamenti sociali, «si ignorano quelle che sono le distinzioni giuridiche, si ignorano i diritti riconosciuti daI trattati internazionali, si ignorano quelle che sono le situazioni di fatto: si tratta infatti di persone che si trovano in una condizione di estrema difficoltà, di fragilità, e le si espone a dei potenziali pericoli».

«Diciamo – aggiunge padre Riggio - che c'è una sorta di paradossale contraddizione proprio nella lettura di quella che è la realtà in base a indicazioni alquanto ideologiche. Nel senso che si parla tanto di sicurezza e poi persone già integrate le si fa entrare invece in una condizione di illegalità. Siamo insomma di fronte a decisioni prese come se fossero tra loro slegate, che vanno di volta in volta a intercettare un possibile interesse da parte di una porzione dell'opinione pubblica ma che nella loro visione sistemica rivelano l’assenza di un progetto».

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