Nelle scorse settimane sono stati diffusi dall’Istat i dati sull’andamento della povertà assoluta e relativa in Italia. Ne è stata data ampia risonanza, anche sulle pagine di questo giornale. Il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ha poi riferito alla Camera i dati contenuti nel rapporto annuale 2021 sulla situazione del paese. Il quadro che emerge è drammatico. Oltre due milioni di famiglie in Italia non dispongono di risorse economiche sufficienti per accedere a un livello di vita ritenuto minimamente accettabile. Si trovano quindi in una condizione chiamata di povertà assoluta. In termini percentuali, contando gli individui, parliamo di quasi una persona ogni 10. Spesso si tratta di bambini. Sono infatti le famiglie con figli minori a detenere l’assai poco invidiabile primato della più alta incidenza di povertà. La presenza di un minore nel nucleo fa aumentare la probabilità di versare nella condizione di povertà assoluta dal 7,7 al 11,5 per cento. E quando in famiglia i figli sono almeno tre, la stessa probabilità schizza al 23 per cento. Con buona pace delle politiche per la natalità.

Solo un effetto collaterale

Alla drammaticità di questi dati fa da contraltare l’assenza del tema della povertà nell’agenda politica. La povertà è vista, al massimo, come la conseguenza del malfunzionamento di altri ambiti – il mercato del lavoro, il mercato immobiliare e quello del credito – sui quali fare sponda sperando di risolvere o almeno circoscrivere il problema. Il tema della povertà non viene mai affrontato direttamente. Lo stesso strumento esplicitamente adottato per il contrasto alla povertà – il reddito di cittadinanza – viene concepito e giustificato come una misura di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto all’occupazione. Nel nostro paese non sembra ancora – forse culturalmente prima che politicamente – accettabile una misura che abbia semplicemente come obiettivo quello di aiutare due milioni di famiglie povere che, anche evitando tutto il superfluo, non sono in grado di pagare la spesa, l’affitto, le bollette, la ricarica del cellulare o le medicine in farmacia. Ma quando si accosta a questa misura l’espressione sussidio, subito si alzano molte voci – a partire da quella di Mario Draghi – che ne sottolineano le criticità.

Abbandoniamo per un momento queste famiglie e passiamo a quelle che versano in condizioni meno drammatiche, perché lamentano “solo” delle difficoltà ad arrivare alla fine del mese. La percentuale di queste famiglie è ben più alta di quelle in povertà assoluta. Sociologi ed economisti definiscono questo tipo di povertà “soggettiva”. Cosa significa? Significa sentirsi economicamente poveri indipendentemente dal livello di reddito o consumo. Si tratta di nuclei colpiti dalla cosiddetta sindrome della quarta, quando non terza, settimana, che consiste nell’impossibilità di affrontare delle spese nei giorni che precedono l’arrivo dello stipendio, della pensione, di un sussidio. Nel 2019 l’Istat stimava fossero circa un quarto della popolazione. Se analizziamo i dati dell’Indagine straordinaria sulle famiglie italiane nel 2020 della Banca di Italia vediamo che queste famiglie già povere dichiarano un peggioramento ulteriore delle loro condizioni economiche. Ad aprile 2020 in un caso su due e a novembre 2020 in uno su cinque.

Percezioni e consumi

Siamo tutti d’accordo che una condizione di povertà oggettiva possa essere più drammatica di quella soggettiva per chi la sperimenta. Ma anche la povertà soggettiva rappresenta un gravissimo problema non solo per le persone ma anche per il paese intero. Chi si sente povero e teme di non riuscire ad arrivare a fine mese o ad affrontare spese impreviste – in un periodo come questo, poi, di grandi incognite sulla salute e sul lavoro – tende a ridurre i consumi, spesso in misura non proporzionata a quello che le condizioni economiche oggettive suggerirebbero. La condizione di malessere di una parte di nuclei ha conseguenze negative per tutta l’economia. La sensazione di emarginazione e di marginalizzazione prolungata all’interno della società può portare a conseguenze pericolose e costose per l’individuo e per la società. Molti tendono ad esempio a rinunciare a beni materiali che sono oggi socialmente considerati necessari per una vita dignitosa: un’auto, una vacanza, un computer. Sentirsi poveri può influenzare anche decisioni importanti, come quella di formare una famiglia o avere dei figli. Alcuni, sentendosi poveri, finiscono per rinunciare a beni necessari per la propria salute: una dieta bilanciata, cure adeguate, vivere in un ambiente salubre. Come si contrasta la sensazione di sentirsi poveri? Un punto di partenza è rappresentato dagli aiuti pubblici per coloro che sono poveri oggettivamente. La consapevolezza di non poter contare, in casi estremi, su un sostegno determina una percezione di difficoltà economica più diffusa.

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