Parità di genere, insieme a coesione sociale e territoriale, è la quinta missione prevista nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che offre le prime indicazioni sistematiche su come l’Italia intende impegnare i fondi di Next generation Eu. È anche il quinto obiettivo per lo sviluppo sostenibile individuato nell’Agenda 2030 delle Nazioni unite.

Uno sguardo al futuro che non includa la prospettiva di genere ci condannerebbe a una economia e a una società in cui uomini e donne, ragazzi e ragazze non avrebbero la possibilità di dare il loro pieno contributo, con un impoverimento per tutti.

I numeri da cambiare

L’Italia è ben lontana dall’uguaglianza di genere, in particolare nel mercato del lavoro. Il tasso di occupazione femminile è al 49,1 per cento, 18 punti in meno di quello maschile. Il differenziale salariale orario medio nel settore privato è il 17 per cento; nella parte alta della distribuzione il salario settimanale delle donne è del 30 per cento inferiore a quello degli uomini, a testimonianza della presenza di un soffitto di cristallo. Il tasso di occupazione delle madri (25-49 anni) con il figlio più piccolo tra 0-5 anni è 55,2 per cento, contro l’89,6 per cento dei padri.

Per cambiare questi numeri il governo prevede l’utilizzo di 4,2 miliardi di risorse da accompagnare a riforme sul piano normativo che promuovano l’equilibrio tra vita e lavoro. Molti dettagli ancora mancano, ma emergono due dimensioni di azione: investimenti per potenziare l’offerta di nidi per l’infanzia e strutture per l’assistenza degli anziani (e purtroppo si dice che queste ultime misure sono per aiutare le donne ad affrontare i propri impegni di cura….); l’istituzione di un sistema nazionale di «certificazione sulla parità di genere, basato sulla definizione di norme per l’attestazione della parità di genere e dei relativi incentivi per le imprese che concludono con esito positivo il processo di certificazione».

Asili per meno del 24 per cento

La disponibilità di servizi di cura per l’infanzia è ampiamente riconosciuta come fattore di uguaglianza delle opportunità per i bambini e come servizio complementare all’offerta di lavoro dei genitori. La pandemia e la mancata possibilità di accesso a questi servizi hanno ulteriormente sottolineato la loro rilevanza sia sotto il profilo delle opportunità per i bambini che del tempo di lavoro dei genitori.

La diffusione dei servizi è al momento limitata, oltre che molto eterogenea tra le diverse aree del paese. L’offerta pubblica e privata di asili nido garantisce un tasso di copertura del 24 per cento sul territorio italiano per i bambini di età inferiore ai tre anni (Istat 2019), che scende tra il 7,5 per cento e il 10,3 per cento nel sud e nelle isole. Il 37,4 per cento dei bambini italiani ricevono cure informali da nonni o altri familiari o amici, contro una media nei paesi Ocse del 25,6 per cento.

L’impatto delle politiche salariali

Quale sarà il tasso di copertura obiettivo? Dove l’offerta verrà potenziata maggiormente? Quale sarà la compartecipazione alla spesa da parte delle famiglie? Se con il potenziamento dei nidi si interviene sulla genitorialità e sull’equilibrio tra vita e lavoro, la certificazione che propone il governo per le imprese “entra” nel mondo del lavoro con l’obiettivo di renderlo più equo sotto il profilo del genere.

Quali parametri verranno utilizzati nel processo di certificazione non è noto, né quali saranno i target nei confronti dei quali verrà misurata la presenza o assenza di progressi verso l’uguaglianza: questi elementi saranno essenziali per stabilire se la certificazione potrà essere una leva efficace per promuovere la riduzione dei differenziali di genere all’interno delle imprese. Le politiche di remunerazione delle imprese nei confronti di lavoratori e lavoratrici contribuiscono infatti ai differenziali salariali di genere: utilizzando dati Inps sull’universo dei lavoratori del settore privato tra il 1995 e il 2015, in un lavoro di ricerca con Salvatore Lattanzio abbiamo mostrato come circa il 30 per cento del differenziale salariale di genere dipenda dalle politiche salariali delle imprese.

Le donne guadagnano meno degli uomini perché lavorano in imprese che pagano mediamente meno tutti i lavoratori e perché uomini e donne hanno una diversa capacità o un diverso successo nel contrattare sul loro stipendio o sul loro avanzamento di carriera.

Certificazione o trasparenza

La certificazione è un meccanismo premiale che potrebbe avere maggior presa sulle imprese di maggiori dimensioni, dove per altro i differenziali salariali sono mediamente superiori poiché la struttura organizzativa ha più gradini, ma potrebbe incidere meno sulle numerose imprese medio e piccole che caratterizzano il tessuto produttivo italiano, per le quali un rafforzamento degli obblighi di trasparenza sui dati occupazionali e sulle remunerazioni di uomini e donne potrebbe avere maggiori effetti.

È presto per dire se le risorse e le linee di riforma tracciate dal Pnrr riusciranno a farci fare la necessaria transizione verso un’economia e una società più uguali per uomini e donne. È un treno che non possiamo perdere. 

© Riproduzione riservata