Dall’osservazione dei redditi dei lavoratori dipendenti privati emerge che in Italia le retribuzioni annue di circa il 40 per cento dei laureati è inferiore a quella media di un diplomato. Risulta altresì che la disuguaglianza salariale tra laureati è molto elevata e più elevata di quella tra i diplomati, che pure non è irrilevante (38,7per cento).

Questi dati possono essere una buona introduzione a una questione di grande rilevanza per capire e contrastare le disuguaglianze, ma che è molto sottovalutata: la scarsa omogeneità all’interno di gruppi identificati sulla base di un carattere comune a cui spesso si riconduce gran parte della disuguaglianza osservata e delle sue tendenze.

Divari da maneggiare con cura

Le disparità retributive complessive vengono spesso ricondotte a quelle che esistono, in media, tra gruppi considerati omogenei: tra laureati e diplomati (o chi è ancora meno istruito), tra giovani e anziani, tra donne e uomini, tra Sud e Nord.

È indiscutibile che vi sono in media differenze tra giovani e anziani, tra chi vive al Sud e chi vive al Nord e così via. Ed è altrettanto indiscutibile che quasi sempre è desiderabile ridurre le distanze medie.

Diciamo “quasi sempre” perché non è necessariamente così nel caso dei titoli di studio, per la ragione che si tende (non sempre con buone ragioni) a considerare quelle differenze come meritocratiche e quindi da preservare, se non accentuare.

Di sicuro è desiderabile ridurre le disuguaglianze medie tra gli altri gruppi elencati. Il punto è che l’eterogeneità all’interno dei gruppi non rende per nulla indifferente il modo in cui si raggiunge questo obiettivo.

Il picco di divario all’interno del Sud

È senz’altro vero, ed è grave, che, pur in un quadro di continua stagnazione salariale, le retribuzioni dei più giovani sono sensibilmente inferiori a quelle di chi ha un’età più avanzata, ma è anche vero che tra i più giovani le disuguaglianze sono molto ampie e in crescita, anche dopo aver tenuto conto dei loro titoli di studio.

Il reddito pro capite è molto più basso al Sud che al Nord, ma è anche vero che proprio all’interno delle regioni meridionali si registra, e in modo netto, la più elevata disuguaglianza, mentre alcune aree settentrionali sono tra le meno diseguali dell’intera Unione Europea.

In Italia, ma non solo, la disuguaglianza nel reddito da lavoro dei giovani dipende relativamente poco dal diverso titolo di studio (e di altre caratteristiche associate, come il tipo di studi e la loro qualità, per quanto accertabile), mentre pesa molto la disuguaglianza a parità di titolo di studio, cioè all’interno di un gruppo considerato spesso uniforme.

Gli studi diretti a scomporre la disuguaglianza tra la componente dovuta all’appartenenza a gruppi diversi – che, in media, ricevono redditi diversi – e quella interna a ciascun gruppo trovano che la seconda componente è nettamente dominante.

Anche considerando congiuntamente tutte le possibili caratteristiche che possono definire l’appartenza ai vari gruppi (genere, età, istruzione, regione di lavoro, ma anche cittadinanza, esperienza lavorativa, settore e dimensione di impresa) non si riesce a spiegare in modo soddisfacente il forte incremento della disuguaglianza salariale verificatosi in Italia negli ultimi decenni. 

Il rischio di pensare per gruppi

Di fronte a questa complessità l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze tra gruppi, ancorché di per sé desiderabile in molti casi, rischia di avere effetti collaterali negativi se non si presta attenzione alle disuguaglianze interne ai gruppi.

Se le disuguaglianze medie tra giovani e anziani si riducessero perché le politiche adottate, consapevolmente o meno, hanno l’effetto di accrescere i redditi dei giovani che già stanno meglio e di ridurre i redditi degli anziani che stanno peggio, si ridurrebbe la distanza tra le medie ma la disuguaglianza complessiva non diminuirebbe affatto.

Analogamente, il reddito medio al Sud potrebbe crescere – riducendo, dunque le distanze con il Nord – se si amplia la già elevata disuguaglianza interna in virtù di un aumento del reddito dei più ricchi del Mezzogiorno. Esiti caratterizzati da riduzioni delle distanze medie ottenute accrescendo il divario fra i più abbienti e i più svantaggiati sarebbero poco meno che tragici.

Per evitarli occorre integrare l’attenzione per la disuguaglianza tra gruppi con quella per la disuguaglianza all’interno dei gruppi, cercando di individuare le cause di quest’ultima in modo da poter migliorare il reddito guadagnato nei mercati soprattutto da chi occupa i gradini più bassi nel gruppo più svantaggiato.

Queste considerazioni possono forse essere rilevanti anche a proposito della discussione in corso sull’utilizzo dei fondi europei di Next Generation EU. In quel dibattito il riferimento a gruppi come quelli più volte menzionati è frequente. Ma questo riferimento di per sé non è sufficiente a garantire interventi in grado di ridurre effettivamente le disuguaglianze. Purtroppo molte di queste disuguaglianze si annidano all’interno dei gruppi e restano nascoste alle medie. Il rischio di aggravarle anche se si persegue il nobile obiettivo di ridurre le disuguaglianze tra gruppi non possiamo permettercelo.

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