Il presidente Mario Draghi è volato ad Algeri per presiedere il quarto vertice intergovernativo Italia-Algeria. L’importanza dell’incontro è tale da congelare per qualche giorno la crisi di governo. L’Algeria è infatti già diventata il primo fornitore di gas per l’Italia, sostituendo Mosca.

Durante il vertice verranno formalizzati gli accordi sottoscritti nei mesi di aprile e maggio tra Sonatrach, la compagnia di stato algerina, e Eni: l’export algerino verso l’Italia dovrebbe aumentare di 3 miliardi di metri cubi nel corso del 2022 (che il governo algerino ha annunciato proprio in questi giorni diventeranno 4 miliardi) e di 9 miliardi di metri cubi a partire dal 2023, andando a colmare l’intera capacità di export residua del gasdotto Transmed.

Già a oggi si registra un aumento dei flussi pari a circa il 3 per cento rispetto al 2021. Le discussioni tra Italia e Algeria in ambito energetico potrebbero ampliarsi ad altre collaborazioni: un progetto di interconnessione elettrica tramite cavo sottomarino tra la regione algerina di El Chafia e la Sardegna, con una capacità fino a 2.000 megawatt, e il sostegno italiano al gasdotto transahariano, la condotta che, attraverso il Sahara, dovrebbe portare il gas dalla Nigeria all’Algeria, e da lì ai mercati europei.

La situazione dell’Algeria

Lo Stato algerino è dipendente dalle esportazioni di idrocarburi, che rappresentano il 94 per cento delle esportazioni e il 40 per cento delle entrate di bilancio. A fronte di una domanda europea che segue un trend calante, la diversificazione dell’economia algerina si rende  necessaria al fine di garantire la stabilità del paese in un futuro (non così lontano) di minori rendite da esportazioni di oil&gas.

Ciò è tanto più vero in seguito all’accelerazione impressa alla decarbonizzazione europea dal piano REPowerEU adottato in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Con l’aumento dei target su rinnovabili ed efficienza energetica previsti dal piano, la domanda europea di gas dovrebbe registrare un calo tra il 30 e il 40 per cento al 2030, rispetto ai livelli del 2021.

Il governo algerino sa bene quanto da entrate stabili e alte dal settore oil&gas dipenda la propria stabilità. Il forte rialzo dei prezzi degli idrocarburi conseguente allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, sta dunque portando Algeri a cercare di rafforzare la propria posizione di fornitore chiave per l’Europa, in particolare per l’Italia, e a fare leva sullo stato di emergenza in cui stanno operando i governi europei, per ottenere nuovi investimenti nel proprio settore oil&gas.

Anche decisioni come quella recentemente annunciata di aumentare i prezzi dei contratti sul gas all’Europa per adeguarli a quelli del mercato spot, rientrano nella strategia algerina di massimizzazione dei propri vantaggi in questo momento di tempesta geopolitica.

Una scelta rischiosa

Per l’Italia, sostenere ulteriori investimenti in oil&gas, assecondando così i piani algerini di difesa dello status quo, rappresenta una scelta rischiosa per almeno tre  motivi. Non si favorisce quella diversificazione dell’economia algerina l’Italia si trova costretta a una politica estera nella regione allineata agli interessi algerini. A seguito della decisione spagnola di riconoscere gli interessi marocchini nella disputa con l’Algeria sul Sahara occidentale, Algeri ha interrotto il trattato di amicizia con Madrid, interrompendo le relazioni commerciali e suscitando l’allarme in Ue.

Dalla la rendita da idrocarburi, inoltre, dipende la possibilità per il governo algerino di continuare a contenere il dissenso, soprattutto giovanile.

L’alternativa rinnovaile 

Supportare il settore delle rinnovabili in Algeria, invece, potrebbe aumentare i quantitativi di gas esportabili, senza bisogno di nuovi investimenti nel settore.

La generazione elettrica algerina deriva infatti per il 99 per cento dal gas e solo per l’1 per cento dalle rinnovabili. Con l’aumento di queste ultime nel mix elettrico, si libererebbero metri cubi aggiuntivi per l’esportazione. Ulteriori quantitativi potrebbero venire recuperati attraverso la cattura del "gas flaring”, il gas di scarto bruciato.

Secondo un’analisi della Banca Mondiale, catturare questi gas nel paese ha un potenziale di recupero annuale di 13,5 bcm. E catturando questo gas sprecato, che altrimenti finirebbe in atmosfera, si ridurrebbero anche le emissioni. Sono però necessari interventi di supporto al miglioramento della rete elettrica algerina e alla semplificazione del quadro regolatorio.

L’Italia non necessita di quantità di gas algerino aggiuntive rispetto a quanto già importato oggi e, ancora di più, dal 2023. Lo spettro dei razionamenti che incombe sul prossimo autunno-inverno è infatti dovuto alla difficoltà di riempire gli stoccaggi attraverso le quantità di gas attualmente disponibili.

Un problema che né le forniture algerine né quelle di altri paesi possono aiutarci a risolvere, dal momento che Roma sta già acquistando tutto ciò che è disponibile sul mercato.

Nuovi investimenti per aumentare ulteriormente la capacità di export algerina, inoltre, non coincidono con i target della decarbonizzazione, anche in considerazione dei numerosi altri accordi per la fornitura di gas che, dall’Africa al Golfo, il governo italiano ha recentemente siglato.

Andare in questa direzione dunque rischia di rallentare la transizione proprio mentre gli sforzi dovrebbero concentrarsi nell’accelerarla.

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