«È quando l’intero quadro di riferimento politico, economico e sociale cambia che più occorre essere uniti per non aggiungere incertezza interna a quella esterna».

Nel suo intervento all’assemblea nazionale di Confindustria, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha consegnato al pubblico plaudente degli industriali – che gli hanno tributato una standing ovation preventiva – una visione del mondo e del momento storico.
Un’Italia che per recuperare produttività e capacità di competere in uno scenario in rapido cambiamento sotto ogni punto di vista deve accantonare i conflitti.

Molti elementi di questa visione sono emersi fin dai primi momenti della sua missione politica: a partire dalle consultazioni di governo, quando, con sorpresa di molti, Draghi ha rimesso al centro del paese le parti sociali a cui ieri è tornato a chiedere «una prospettiva economica condivisa». Ma in questo suo discorso, che pure ha infarcito di annunci di stretta attualità – i tre miliardi pronti da investire sul bonus luce e gas o il no all’aumento delle tasse – alcuni tratti di “tecnopopulismo” sono stati accentuati.

Partiti e governo

Quando Draghi ha detto che «un governo è già tanto se non fa danni», sapeva di strappare un applauso facile a una platea a suo modo antipolitica. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, aveva appena attaccato chi flirta con i No-vax – ottenendo in cambio un ringraziamento per il sostegno al green pass, «strumento di libertà» – e detto che gli industriali si riconoscono nel governo e sperano che «continui a lungo» senza che i partiti attentino alla sua coesione «pensando alle prossime amministrative, o con veti e manovre in vista della scelta da fare per il Quirinale». Il premier ha avuto gioco facile anche a rimarcare la differenza del suo governo, snocciolando tutte le riforme fatte finora: «Un elenco un po’ noioso, ma per fare funzionare una macchina si deve fare questo».

Questo non significa che Draghi non gestisca con molta cautela le tensioni politiche: proprio ieri ha annunciato che la legge sulla concorrenza è rimandata a ottobre, dopo le amministrative.

Al martellamento di Bonomi sul tema del lavoro – i licenziamenti che non ci sono stati, anche se lui stesso un anno fa li preannunciava, le richieste di Confindustria «rimaste nel cassetto» – Draghi non ha risposto direttamente e in passato quando lo ha dovuto fare nei fatti, ha sposato spesso le richieste delle imprese. Sui temi sociali ha usato uno stile democristiano, nel senso della Dc della coesione sociale, tutela delle fasce deboli e fragili.

La cornice retorica

Confindustria del resto gli ha confezionato una cornice simbolica perfetta con la proiezione di un cortometraggio pensato per celebrare i 111 anni dell’associazione, ma che sembra stato tagliato su misura per il governo: c’è l’anziano che all’hub vaccinale ricorda la ripresa del Dopoguerra, la resistenza delle imprese contro i nazisti, uno spirito “repubblicano” con cui Draghi ha infarinato i primi mesi di eventi pubblici e che Bonomi ha ripreso anche nel suo discorso, attaccando gli uomini della provvidenza: «Ne abbiamo avuto uno e un regime autoritario e razzista».

Draghi, invece, è «l’uomo della necessità», forza inevitabile che libera il campo dagli accidenti della possibilità, cioè della politica, che ci hanno regalato in media un governo all’anno.

Tutta l’assemblea confindustriale, dai ringraziamenti al generale Figliuolo all’accostamento del premier a De Gasperi, Baffi, Ciampi e Luigi Einaudi, è sembrata forgiata narrativamente sull’agenda Draghi, non il contrario. Epperò questa narrazione va di pari passo con un lungo elenco di richieste.

Le richieste di Confindustria

Il mandato degli industriali è chiarissimo e per alcuni versi molto lucido. Gli imprenditori sanno apparentemente più dei politici che il destino italiano si gioca a Bruxelles: Draghi deve restare, ha detto in sostanza Bonomi, perché in Europa c’è da discutere la riforma del patto di stabilità e quella degli aiuti di stato e da affrontare la fine del piano di stimoli della Bce.

Assumendo il punto di vista esterno e guardando all’Italia sul piano internazionale, la pace sociale e quella politica sono vantaggi sicuri.

Ma la Confindustria chiede molto altro: da più privati nel settore della sanità all’opposizione in sede di consiglio europeo alle proposte Ue «inadeguate» sulla riduzione delle emissioni.

E se è facile concordare sui danni di Quota 100 o invocare la pace sociale, diverso è affrontare questioni come la precarietà del lavoro o l’interesse pubblico sull’ambiente. Lì si può fingere di imboccare la via «necessaria», l’ordine dell’inevitabile, quando in realtà si tratta sempre decisioni politiche.

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