Il proliferare di conflitti in varie parti del mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente passando per l’Africa subsahariana così come la costante minaccia di un’escalation militare nel Pacifico, moltiplicano affari e profitti delle aziende che producono armi e anche gli istituti di credito hanno cavalcato l’onda di un business in velocissima crescita.

Ma c’è chi non ci sta: 71 banche aderenti alla Global Alliance for Banking on Values (Gabv), a cui aderisce l’italiana Banca Etica, sono riunite in questi giorni a Padova e Milano, dove hanno presentato il “Manifesto per una finanza di pace”. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impatto degli armamenti sulla società e sull‘ambiente, cercando anche di rendere più difficoltoso per le aziende del settore l’accesso al credito.

“Condanniamo fermamente ogni tipo di violenza, combattimento o guerra, in qualsiasi circostanza e ovunque avvenga”, si legge nella dichiarazione, presentata nella mattinata di oggi a Milano. “La risoluzione duratura dei conflitti può avvenire solo attraverso un dialogo aperto e una collaborazione sincera, come mezzi per costruire la fiducia che sottende alla pace. Per questo - continua il manifesto - invitiamo l’industria finanziaria a smettere di finanziare la produzione e il commercio di armi”.

Le banche e le armi

Secondo il rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra”, realizzato dalla Merian Research per conto della Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e dalla Gabv, oltre 959 miliardi di dollari vengono destinati dalle istituzioni finanziarie nel mondo al sostegno della produzione e del commercio di armi.

«Nonostante gli scarsi dati disponibili e la poca trasparenza in questo campo, appare chiaro che il settore finanziario globale è fondamentale nel sostenere la produzione e il commercio di armi, facilitando, per estensione, i conflitti militari, dichiara Mauro Meggiolaro di Merian Research, tra i curatori del report.

Dei quasi mille miliardi di dollari investiti nel mondo nel settore degli armamenti, metà provengono dagli Stati Uniti, dimostrando una sinergia consolidata tra Wall Street e l’industria bellica. Ma anche le banche europee fanno la loro parte per alimentare il business delle armi, con i 15 maggiori istituti finanziari del Vecchio Continente che hanno realizzato un investimento pari a quasi 88 miliardi di euro. Cifre da capogiro per un settore che ha approfittato delle tensioni geopolitiche diffuse per realizzare profitti senza precedenti.

Il confronto con la sanità

Nel 2023 la spesa per la difesa in tutto il mondo è cresciuta del 9 per cento, raggiungendo la cifra record di 2,2 trilioni di dollari. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), le risorse stanziate dai governi, a livello globale, per le forze armate ammontano a 2.240 miliardi di dollari, che corrispondono al 2,2 per cento del Pil mondiale.

Su cento euro che vengono spesi per tutte le attività di questo tipo, più di due vanno a finanziare il settore delle armi. Un’analisi dell’International Peace Bureau ha confrontato il costo degli armamenti con quello dei servizi sanitari, mostrando come una fregata valga lo stipendio annuale di più di 10mila medici all’anno (media Ocse), un aereo F-35 equivale a 3.244 posti letto di terapia intensiva, mentre un sottomarino nucleare costa quanto più di 9mila ambulanze.

Secondo l’analisi basterebbe stanziare la metà dei fondi utilizzati a livello globale per le forze armate per fornire assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta, oltre a ridurre significativamente le emissioni di gas serra.

Le banche invece hanno contribuito a oliare questo sistema, mentre lo scoppio della guerra in Ucraina prima e a Gaza l’anno successivo hanno fatto schizzare il valore delle azioni delle aziende produttrici di armi.

Tuttavia c’è chi ha deciso di andare controcorrente, anteponendo i valori della finanza etica a quelli del mero profitto: «È nostro dovere incoraggiare persone e istituzioni finanziarie a chiedersi fin dove è lecito fare profitti con le catastrofi», dice Anna Fasano, presidente di Banca Etica. «La finanza può cambiare il corso degli eventi, e le banche della Gabv non vogliono essere complici di questa deriva».

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