I salari in Europa crescono ovunque, tranne che in Italia. Con buona pace della premier Giorgia Meloni, che tre giorni fa in Senato, citando non meglio precisati dati Ocse, ha parlato di un aumento degli stipendi «dalle tre alle cinque volte superiore a quello dei governi precedenti».

I dati ufficiali da poco diffusi da Eurostat dicono tutt’altro. Il nostro paese è infatti l’unico tra i 27 membri dell’Unione Europea con l’indice del costo del lavoro che si muove all’indietro, prendendo come riferimento l’ultimo trimestre del 2023 in confronto allo stesso periodo del 2022.

Una diminuzione dello 0,1 per cento, quasi impercettibile ma in forte controtendenza - oltre che con le dichiarazioni roboanti della presidente del Consiglio - anche con il dato medio della Ue, che segna una crescita del 3,8 per cento, il 3,1 se si considerano solo i Paesi appartenenti all’Eurozona.

Una precisazione importante: questi numeri misurano le variazioni nominali, quindi non tengono conto dell’inflazione. In altre parole, per misurare la perdita di potere d’acquisto, al dato italiano sull’andamento delle retribuzioni (meno 0,1 per cento) va aggiunta l’inflazione che nel 2023 ha toccato il 5,3 per cento.

Calo costante

In Italia la questione dei salari ha radici lontane. Siamo l’unico Paese i cui le retribuzioni reali sono diminuite dal 1990 a oggi (meno 2,9 per cento, secondo l’Ocse). Un calo che si è fatto ancora più evidente con l’avvento della pandemia. Se si prende come riferimento l’ultimo trimestre del 2019, si scopre che il calo sfiora il 10 per cento, registrando anche in questo caso la performance peggiore di tutta l’area Ocse.

Eppure, la premier pochi giorni fa in Parlamento, tra gli applausi dei suoi dichiarava raggiante: «L’Ocse, un organismo terzo, dice che nel 2023 i salari in Italia sono aumentati da tre a cinque volte tanto rispetto a quando al governo c’eravate voi», dove voi sarebbero i parlamentari della sinistra.

Meloni ha poi citato l’aumento del reddito reale delle famiglie: «Nel 2023 è aumentato dell’1,4 per cento quando nella media dei paesi Ocse diminuiva dello 0,2 per cento», prendendo però come riferimento solo il terzo trimestre dell’anno scorso. Se si considera l’intero arco dei dodici mesi, si scopre però che in confronto al 2022 il reddito reale è addirittura diminuito. Tra i grandi paesi europei solo la Germania, che si trova in recessione, ha fatto peggio di noi.

Statali in coda

Analizzando nel dettaglio il report dell’Eurostat pubblicato martedì sera, si nota come a trainare verso il basso i salari italiani sia il cosiddetto settore “non-business”, cioè la pubblica amministrazione, che visto calare le retribuzioni del 3,7 per cento, meno 3,9 per cento considerando il costo del lavoro complessivo, aggiungendo quindi nel computo la tassazione e la previdenza.

Va ricordato che solo alla fine del 2023 i dipendenti pubblici hanno recuperato parte dei ritardi accumulati per effetto del mancato accordo sul nuovo contratto di lavoro. In questa speciale classifica l’Italia è all’ultimo posto tra i 27, mentre gli altri grandi paesi hanno tutti il segno più davanti (Francia 2,1 per cento, Germania 1,8 e Spagna 1,5) e spiccano le crescite di Ungheria (+19,5 per cento) e Croazia (+17,9).

Considerando gli altri settori dell’economia, la posizione dell’Italia migliora, ma fino a un certo punto: il nostro paese registra infatti una crescita salariale di quasi due punti percentuali, ma resta comunque fanalino di coda: nell’ultimo trimestre dello scorso anno nessuno ha fatto peggio di noi, con la media europea che si attesta al più 4,4 per cento.

L’Italia invece risulta in media con il resto d’Europa per quanto riguarda il costo del lavoro. Siamo a 29,40 euro l’ora, mentre la media Ue si attesta a 30,5 euro. Per quanto riguarda la pressione fiscale, le tasse incidono sulla spesa complessiva a carico del datore di lavoro per il 27,8 per cento, tre punti percentuali in più rispetto alla media Ue. Costo del lavoro in linea ma tasse più alte e salari più bassi: così il mondo del lavoro in Italia fatica a decollare, e non sembra esserci nessun miracolo economico all’orizzonte.

Chi cresce di più

Tra i grandi paesi dell’Unione i maggiori aumenti è la Spagna a far segnare segnare i numeri migliori, con i salari che aumentano del 4,2 per cento (che sale al 5,2 per cento prendendo in considerazione l’intero costo del lavoro), mentre la crescita francese si attesta al 2,7 per cento è quella tedesca al 2,2 per cento.

Se si confronta il dato dell’ultimo trimestre del 2023 con quello dell’analogo periodo dell’anno precedente, si scopre che la Spagna così come Francia e Germania, fanno segnare una tendenza al ribasso nell’andamento salariale. In altri termini, nel 2022 le retribuzioni erano aumentate di più rispetto al 2023. Anche in questo caso, però, il dato peggiore è quello italiano. Infatti a fine 2022 la crescita dei salari aveva toccato il 2 per cento, mentre, come detto, a dicembre del 2023 il nostro paese è andato addirittura in rosso: meno 0,1 per cento.

E così mentre la propaganda di Meloni racconta l’Italia come la nuova locomotiva d’Europa, i dati Eurostat ci restituiscono un’immagine ben diversa: nelle tasche dei lavoratori non c’è traccia di questa presunta grande crescita economica, di questo nuovo miracolo italiano.

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