Il Pil delle Germania è sceso dello 0,3 per cento nel quarto trimestre del 2023: non è recessione (due trimestri di crescita negativa) solo perché il trimestre precedente è stato rivisto da -0,1 per cento a +0,1. Ma rimane l’unico paese che l’anno scorso non è cresciuto e si prevede che anche il 2024 sarà deludente, con una crescita del Pil stimata in 0,3 per cento, rispetto allo 0,6 dell’Italia, 0,7 della Francia, e 1,3 degli Usa. Il rallentamento della Germania è certamente legato alla fase ciclica avversa dell’Eurozona, ma è anche il segno di un modello economico che appare in profonda crisi.

Per crescere la Germania ha tradizionalmente puntato sulle esportazioni, a discapito dei consumi privati. Le esportazioni tedesche hanno beneficiato della Cina sia come mercato di sbocco, sia come fornitrice di componenti a basso prezzo; della competitività nell’Eurozona in termini di costo effettivo del lavoro; e dell’energia a basso costo costo dalla Russia. Tuttavia l’avanzo commerciale si è più che dimezzato dal picco di 284 miliardi del 2015 perché il rallentamento cinese ha fatto venir meno un grande mercato per il suo export, e la Cina si è trasformato in un temibile concorrente in Europa; e la guerra in Ucraina ha evidenziato i costi della mancata diversificazione delle forniture di gas, oltre che i ritardi nelle rinnovabili che generano solo il 21 per cento dell’elettricità, al di sotto della media europea.

Si è puntato sulle esportazioni per sostenere l’industria tradizionale (meccanica, auto, chimica), che però è energivora ed esposta alla competizione cinese, a discapito di settori ad alta crescita quali informatica, tecnologia, biotech, o servizi legati a internet; e dove prevalgono le aziende medio-grandi, che però non hanno le economie di scala e la facilità di accesso ai mercato dei capitali delle grosse multinazionali. Così, il maggior gruppo industriale, Siemens, vale la metà dei grandi gruppi europei nel settore dei consumi, come Nestle, L’Oreal o Lvmh; e anche nel settore industriale è incalzata da società svedesi, svizzere e francesi. La prima società farmaceutica europea è danese, seguita dalle svizzere; nella chimica Basf vale la metà di Air Liquide (francese), come E.On nelle utility rispetto a Iberdrola (spagnola), o SAP nella tecnologia rispetto ad ASML (olandese).

E’ questo l’effetto di un mercato dei capitali asfittico, con i titoli alla borsa tedesca che capitalizzano il 45 per cento del Pil rispetto al 141 medio di Svizzera, Svezia, Olanda, Francia e Spagna nella UE, e al 193 degli Usa; dell’assenza di grandi investitori in capitale di rischio (venture e private equity); e di un sistema bancario frammentato, poco redditizio e finanziariamente debole: Deutsche Bank, vale un terzo della francese BNP e appena un ventesimo di J.P. Morgan. Di fatto, lo Stato si è sostituito al mercato dei capitali con la banca di sviluppo KfW; ma lo Stato investitore tende a preservare piuttosto che a sfruttare le potenzialità offerte dalle discontinuità tecnologiche. Per le imprese tedesche diventa pertanto sempre più difficile competere in un mercato comunque globale.

Tante ed evidenti le analogie con l’Italia: anche da noi la crescita è trainata dalle esportazioni a discapito dei consumi privati, con l’aggravante di un deficit di produttività; le imprese sono sottodimensionate e in settori tradizionali; abbiamo un mercato dei capitali ancora più asfittico e uno Stato azionista più pervasivo, nonostante le finanze pubbliche disastrate; un sistema bancocentrico, che prospera grazie vendita di prodotti e servizi ai risparmiatori; e siamo la maglia nera nelle rinnovabili (genera il 19 per cento dell’elettricità), nonostante la dipendenza energetica da aree a rischio geopolitico.

La fase ciclica negativa finirà: quando, dipenderà dalla Bce e dalla politica fiscale che si vorrà dare l’Europa. Ma allungando l’orizzonte temporale, il peso della Germania, e ancora di più dell’Italia, nell’economia del mondo è destinato a contrarsi. In una suggestiva simulazione della società di consulenza PwC, nel 2050 la Germania scenderà dal quinto al nono posto, sopravanzata da India, Messico, Indonesia e Brasile; mentre l’Italia precipiterà al ventunesimo posto.

© Riproduzione riservata