Il Governo ha deciso di limitare gli incentivi per il rientro dei cervelli in fuga. Questa scelta deriva dalla necessità di recuperare risorse per altre voci della Manovra, ma il fatto che per raggiungere questo obiettivo si decida di tagliare su politiche che provano a risolvere problemi così importanti fa sicuramente storcere il naso. È importante però chiedersi se questi incentivi siano davvero efficaci, anche perché nel tempo sono diventati sempre meno restrittivi nel selezionare i “cervelli” da far rientrare.

Nel 2004, infatti, gli incentivi spettavano solo a professori e ricercatori, duravano due anni e prevedevano che si pagasse l’Irpef solo sul 10 per cento del proprio reddito. A partire dal 2011, la quota di reddito imponibile era diventata del 20-30 per cento, ma l’incentivo era stato esteso a tutti i laureati nati dopo il 1969. I criteri d’accesso erano stati ulteriormente allargati nel 2016, mentre dal 2019 l’unico criterio per accedere all’incentivo è diventato quello di aver risieduto all’estero per due anni. Attualmente, l’incentivo prevede che si paghi l’Irpef solo sul 20-30 per cento del reddito, ma le restrizioni del Governo alzeranno la base imponibile al 50 per cento, oltre a riservare l’incentivo solo a determinate professioni molto specializzate, come quelle tecniche, scientifiche e manageriali. 

Il controesodo

Per capire se gli incentivi funzionano, è utile leggere i risultati di un lavoro di ricerca di Giuseppe Ippedico (Università di Nottingham) e Jacopo Bassetto (Università di Bologna), che prova a stimare l’impatto del decreto “Controesodo”, quello che estese l’incentivo a tutti i laureati. Secondo lo studio, l’incentivo ha aumentato del 27 per cento il numero di lavoratori che ha deciso di rientrare nel nostro Paese. Questo ci permette di valutare positivamente la policy non solo perché è cresciuto il numero di rientri (che potrebbe dipendere da fattori diversi dall’incentivo), ma perché ci conferma che ci sono lavoratori che hanno deciso di rientrare soprattutto a causa di questi incentivi.

Il peso della policy sui conti pubblici, poi, è stato nullo: gli sconti fiscali, infatti, hanno un costo, perché ne gode anche chi sarebbe comunque rientrato in Italia. L’aumento di persone rientrate solo grazie alla policy, però, è stato tale da compensare la perdita di gettito Irpef dovuta alla riduzione dell’imposta anche per chi aveva comunque intenzione di rientrare.

Perché, allora, restringere l’accesso alle agevolazioni? Oltre alla riduzione dei costi, va detto che negli ultimi anni l’accesso è stato allargato forse un po’ troppo. Gli incentivi di oggi non spingono solo le persone altamente specializzate a rientrare, ma chiunque abbia fatto un percorso lavorativo all’estero per almeno due anni. In pratica, stiamo offrendo un forte sconto fiscale a chiunque non abbia vissuto in Italia negli ultimi anni. La scelta di restringere l’accesso può quindi avere un senso, ma forse sarebbe stato meglio limitare l’incentivo ai soli laureati, senza imporre paletti ancora più rigidi che potrebbero privarci di professionalità altamente richieste, ma che non rientrano nell’inquadramento tradizionale del manager o del dirigente.

Nessun incentivo può compensare la mancanza di opportunità

Questi incentivi funzionano (almeno quanto non sono troppo generosi nei criteri di accesso) e sono sicuramente una parte importante della strategia per il rientro dei cervelli (nel 2020, erano oltre 17 mila le persone interessate dal regime fiscale agevolato), ma non bastano a risolvere il motivo principale per cui le persone decidono di andarsene: la maggior parte di loro non potrebbe fare in Italia il lavoro che svolge all’estero.

Non è solo una questione di soldi (che comunque restano fondamentali), ma di tessuto produttivo. Nella maggior parte delle città italiane, per esempio, non c’è spazio per chi vuole lavorare in un’azienda di software oppure non c’è mercato per chi è laureato in fisica e vorrebbe mettere le proprie competenze al servizio di un’impresa o di un centro di ricerca.

Il Governo, così come tutti i precedenti, può incentivare le persone quanto vuole, con le iniziative per il rientro dei cervelli o con gli sgravi per aumentare gli stipendi netti, ma per rendere la nostra economia appetibile occorre fare investimenti, porre le basi per avere imprese sempre più grandi e tecnologicamente avanzate, creare un ecosistema sostenibile per le startup innovative. Nella legge di bilancio, come nella maggior parte delle leggi di bilancio degli ultimi anni, non c’è traccia di tutto questo.

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