Il tribunale di Milano impone a Glovo di riconoscere i rappresentanti per la sicurezza dei rider, equiparandoli a lavoratori dipendenti. A chi fa consegne sotto il sole cocente vanno date acqua e creme solari, senza affidarsi a rimborsi successivi. Il Pd propone un risarcimento per i rider fermati dalle ordinanze anti caldo
Glovo dovrà avviare una trattativa per valutare i rischi per la salute e la sicurezza dei rider che lavorano durante le ondate di calore. E dovrà mettere a disposizione adeguati dispositivi di protezione, oltre ad acqua, creme solari e sali minerali. Lo ha ordinato la sezione lavoro del tribunale di Milano, con il primo provvedimento del genere deciso in Italia. Una pronuncia che segna un precedente importante per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori della gig economy.
I giudici di Milano – dove ha sede Foodinho, l’azienda italiana che agisce con il marchio Glovo – hanno imposto al colosso del food delivery di coinvolgere il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale nella gestione dei rischi da caldo estremo. Inoltre, il tribunale ha stabilito che la società dovrà, nel documento di valutazione dei rischi, considerare «l’età, il genere, la condizione di maternità e gravidanza, la provenienza geografica e la tipologia contrattuale dei rider». Tutti elementi di cui, finora, non si è tenuto conto abbastanza.
C’è poi la seconda parte dell’ordinanza. Al posto degli incentivi che Glovo vorrebbe pagare ai lavoratori per l’acquisto di acqua e borracce – il contestato “bonus” da pochi centesimi per le consegne nelle ore più torride, presentato e poi ritirato una settimana fa – il giudice Antonio Lombardi ha imposto di mettere a disposizione dei rider «adeguati dispositivi di protezione e idoneo abbigliamento protettivo, somministrando loro adeguata idratazione e creme protettive».
Offerta o rimborsata?
Di «sentenza storica» che riconosce la responsabilità delle piattaforme per i rischi dei rider ha parlato la Cgil, che ha presentato il ricorso da cui è scaturita l’ordinanza. «Per la prima volta un’azienda di delivery viene chiamata a confrontarsi con il rappresentante dei lavoratori (Rlst), una figura solitamente riconosciuta solo nel lavoro dipendente», ha detto Roberta Turi, segretaria nazionale della Nidil Cgil. Dalla Filcams Cgil fanno invece sapere che il provvedimento ha «valenza nazionale, motivo per cui andrà applicato a tutte le piattaforme».
In direzione opposta si sta muovendo Assodelivery, che ancora insiste con la politica dei bonus. Lunedì l’associazione di categoria ha proposto ai sindacati un protocollo triennale per l’emergenza caldo. Il documento fa qualche passo avanti – con la possibilità di rifiutare le consegne senza essere penalizzati dagli algoritmi – ma tiene il punto sugli incentivi. E così la bozza di protocollo ha diviso i sindacati, con alcune sigle (tra cui l’Ugl) più aperturiste e altre (tra cui la Cgil) ferme all’idea che l’acqua «va offerta, non rimborsata».
Risarcire i rider
Nel frattempo, alcune regioni hanno vietato le consegne in bici e scooter nelle ore più calde. Dopo il Piemonte, anche il Lazio ha esteso ai rider lo stop al lavoro dalle 12.30 alle 16 nei giorni da bollino rosso. L’ordinanza del governatore Francesco Rocca, di Fratelli d’Italia, ha però diviso i rider, in gran parte lavoratori autonomi pagati a cottimo: se non possono fare consegne, soprattutto all’ora di pranzo, il loro reddito cala.
Per questo, secondo i sindacati serve un risarcimento economico per i fattorini bloccati dalle ordinanze. Per la deputata del Pd Chiara Gribaudo la soluzione potrebbe essere «un fondo della durata di tre anni da 10 milioni di euro che garantirebbe loro la metà del reddito rispetto al lavoro svolto nei tre mesi precedenti, fino a un massimo di 50 euro al giorno». L’idea è quindi di estendere gli ammortizzatori sociali ai rider, grazie a un fondo sperimentale pagato direttamente dalle imprese.
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