L’Italia è forse il paese avanzato in cui esistono divari territoriali più forti e riconoscibili. La disuguaglianza tra nord e sud è un problema sin dai tempi del Regno d’Italia e neanche la crescita senza precedenti del secondo dopoguerra è riuscita a ridurla del tutto. 

Tendiamo a considerare le persone che vengono dal Mezzogiorno più svantaggiate sul mercato del lavoro, per vari motivi. Dal tessuto produttivo meno sviluppato rispetto al nord, alla scarsità dei servizi pubblici, all’assenza di infrastrutture adeguate. E, in effetti, a parità di condizioni sociali e di abilità individuali, una persona che risiede al sud tende ad avere un salario inferiore rispetto a una che vive al nord nel corso della vita. Secondo un nuovo studio, però, questo effetto sarebbe molto marginale: spiegherebbe infatti solo il 3,4 per cento delle differenze di reddito nel corso della vita tra abitanti del Nord e del Sud. 

Le diverse opportunità per uomini e donne

Il dato è ancora meno rilevante per gli uomini. La ricerca di Briskar, Di Porto, Rodriguez Mora e Tealdi, raccontata di recente sul portale di divulgazione economica VoxEU, riporta che la posizione geografica spiega solo l’1,8 per cento delle differenze in termini di reddito per gli uomini. Per le donne, invece, vivere al sud spiega il 10,2 per cento delle disuguaglianze di reddito rispetto alle donne del Nord.

Questa differenza di genere dipende soprattutto dalla diversa partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne al Nord e al Sud. Seppur ancora bassa, nelle regioni settentrionali la percentuale di donne che lavorano è a livelli non lontani dalla media europea, mentre nel Mezzogiorno si registrano tassi di occupazione femminile tra i più bassi in Ue. Dato che lavorano molto meno, le donne del Sud hanno in media un reddito inferiore alle donne che spesso sono occupate del Nord.

Cosa conta davvero

A fare la differenza sono fattori diversi dalla geografia. Uno dei più importanti è il livello di istruzione: secondo le stime, il diverso titolo di studio spiega circa il 20 per cento della differenza tra redditi delle persone nel corso della vita. C’è poi il genere: il bilancio di genere redatto dalla ragioneria generale dello stato per il 2020 sottolinea come, per esempio, le donne rappresentano solo il 16,2 per cento delle persone che si trovano nell’1 per cento con il reddito più alto in Italia, contro l’83,8 per cento di uomini. Ci sono poi altri fattori geografici: gli autori della ricerca parlano dell’importante differenza tra chi abita in aree urbane e chi invece in aree rurali. Anche il quartiere in cui si nasce, abita o lavora fa la differenza.

Il fattore che conta più di tutti, in ogni caso, è la famiglia da cui si proviene. Come sottolineano gli autori stessi dello studio, «i bambini nati in famiglie ricche del sud (e sono molti) affrontano la vita con carte migliori rispetto a quelli nati in famiglie povere del nord». Questo perché la disuguaglianza all’interno delle province, quindi tra famiglie ricche e famiglie povere che vivono nella stessa zona, è decisamente più alta di quella tra province (nello specifico, tra nord e sud). 

Come ridurre le disuguaglianze

Il fatto che una parte importante della disuguaglianza non dipende dalla posizione geografica è sia di una notizia poco confortante (se si nasce poveri, non basta spostarsi per cambiare la propria posizione), ma anche di un’ottima indicazione su cosa occorre fare per ridurre le disuguaglianze. In primis, puntare su tutti quei fattori che sono più importanti rispetto alle differenze territoriali. Occorre quindi aumentare il tasso di istruzione medio nelle province meridionali (ma anche in quelle settentrionali non guasterebbe) e puntare su settori che garantiscono retribuzioni più alte (il 16 per cento delle differenze nei salari dipende dal fatto che si lavori o meno in industrie ad alto valore aggiunto).

C’è poi l’obiettivo fondamentale: ridurre le disuguaglianze tra ricchi e poveri, con una tassazione più equa, per esempio più alta su rendite e consumi e inferiore sul lavoro, ma anche con politiche che avvantaggino i più svantaggiati, tenendo conto di un fattore difficilmente misurabile, ma che si sa che esiste e che frena lo sviluppo. Un po’ come avveniva fino a poco tempo fa con le azioni positive negli Stati Uniti (una sorta di sistema a quote per le minoranze), da poco dichiarate incostituzionali.

© Riproduzione riservata