Come negli anni ruggenti della Prima repubblica il 19 maggio di un anno fa in un tripudio di bandiere celebrarono la posa della prima pietra per i lavori del terzo megalotto della statale 106 Jonica, presentata come il «più grande cantiere viario d’Italia», un segno di speranza in tempi di pandemia. Allineate sul palco, ma a debita distanza e protette dalla mascherina, c’erano le autorità: la ministra di allora, Paola De Micheli (Pd), Massimo Simonini, amministratore e direttore dell’Anas, Giancarlo Cancelleri, sottosegretario Cinque stelle del ministero delle Infrastrutture. Fecero tanti bei discorsi, la ministra definì l’opera «strategica» e un «segnale di concretezza». Cancelleri lapidario sentenziò: «L’impegno è stato mantenuto, quella di oggi è una giornata storica per la Calabria».

Parole altisonanti

Tutti fecero a gara per regalare promesse: un tracciato moderno tra Sibari e Roseto Capo Spulico (38 chilometri), un collegamento veloce tra il versante jonico della Calabria e l’autostrada del Mediterraneo (la Salerno-Reggio Calabria, ex A2 ed ex A3). E poi lavoro per 1.500 persone e ovviamente tempi rapidi e spediti di esecuzione.

Il comunicato ufficiale cominciava così: «È partito questa mattina in Calabria il cantiere Anas (gruppo Fs) del terzo megalotto della statale 106 Jonica nella provincia di Cosenza». A distanza di un anno quel cantiere sarà forse partito, ma non si sa dove sia arrivato perché da quelle parti i lavori non li hanno visti. Delusi e esasperati per quella che hanno definito l’«apatia fattiva dell’Anas», dopo aver atteso invano qualche beneficio attraverso le opere compensative a favore dei comuni, i sindaci della zona hanno occupato per protesta la sede locale dell’Anas a Trebisacce pretendendo risposte dai capi Anas e qualche spiegazione e rassicurazione dal responsabile dell’opera, in gergo il Rup. Che si chiama Silvio Canalella, un tecnico che, come si dice in questi casi, «ha delle conoscenze» essendo stato compagno di scuola a Caltanissetta del sottosegretario Cancelleri.

Il quale in materia di infrastrutture è diventato un’autorità, la punta di diamante della corrente Cinque stelle convertita sulla via delle grandi opere. Il megalotto della statale 106,38 chilometri, 11 gallerie, 14 viadotti alcuni alti fino a 100 metri per la cui realizzazione è stata prevista la spesa ingente di 1 miliardo e 300 milioni di euro, nelle intenzioni di Cancelleri doveva diventare la vetrina per la nuova stagione di grandi lavori al sud di cui è strenuo paladino.

Dall’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria e poi Messina-Siracusa e Messina-Palermo e perfino il ponte sullo Stretto, considerato per anni dallo stesso Cancelleri e dai grillini la quintessenza dello spreco e dell’inutilità pagati con i soldi dei cittadini a vantaggio dei soliti noti, grandi imprese di costruzione in prima linea. Il megalotto della statale Jonica, però, procede in maniera assai diversa da quella vagheggiata da Cancelleri e più che il primo esempio dell’era delle nuove grandi opere con il marchio doc grillino sta diventando l’«ultima eterna incompiuta della Calabria», come denunciato dall’organizzazione “Basta vittime sulla statale 106”. Un brutto esempio, insomma, che oltretutto accresce i dubbi sulla capacità, rapidità e efficacia di spesa dell’Anas, una delle aziende pubbliche che insieme alle Fs dovrebbero essere garanzia per il miglior utilizzo delle ingenti risorse che il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) destina al miglioramento e potenziamento infrastrutturale nazionale. Ha commentato il capogruppo Pd alla regione Calabria, Mimmo Bevacqua: «È come se mancasse un organico piano di cantierizzazione degli interventi e ciò è francamente intollerabile». Un altro politico di quelle parti, il deputato Francesco Sapia, dissidente Cinque stelle approdato in L’Alternativa c’è, ha intimato: «Anas dia chiarezza e certezza».

Il quadro è reso ancora più sconveniente dalla circostanza che il governo di allora attraverso l’Anas ha concesso un lauto anticipo alle ditte costruttrici (il contraente generale Salini-Impregilo, oggi Webuild, più Astaldi), pari al 30 per cento del valore delle costruzioni, cioè 288 milioni di euro su un totale di 960. Nelle fasi propedeutiche alla firma del contratto l’anticipo proposto dall’Anas era del 20 per cento, ma la ministra De Micheli ha voluto fosse elevato al 30, il massimo di legge. In una nota l’Anas dichiara che «le attività fino a oggi eseguite corrispondono a un avanzamento dell’11,85 per cento», mentre il contraente generale «sta ultimando le opere di cantierizzazione». Detto in altri termini: il grosso anticipo riconosciuto alle imprese di fatto non è stato un propellente sufficiente per accelerare i lavori, anzi. Forse sarà servito ad altro. Sulla statale Jonica il contraente generale Webuild non è stato in grado di ripetere l’exploit della ricostruzione del ponte di Genova. Che purtroppo appare un caso isolato nel contesto delle grandi opere italiane in cui la regola resta quella che accomuna lentezza e sprechi.

© Riproduzione riservata