Il governo da una parte finge di voler bloccare le estrazioni petrolifere, dall’altra dà il via libera ai sussidi per le raffinerie. Il 22 pomeriggio ha iniziato a circolare una bozza del decreto Milleproroghe atteso oggi in consiglio dei ministri che riportava una misura: il blocco delle estrazioni di petrolio e gas in Italia. Dal primo gennaio prossimo, spiegava la bozza, su tutto il territorio dello stato non sarebbero più stati rilasciati nuovi «permessi di prospezione o di ricerca ovvero di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi» tutti gli altri sarebbero rimasti tali ma solo fino a scadenza. Poi basta. Ma la misura è scomparsa prima ancora che il testo entrasse in consiglio dei ministri. Nel silenzio generale invece tre giorni fa è passato un piano di sostegno al settore della raffinazione, che agevolerà, tra le altre compagnie, Eni e Saras.

Le reazioni al Milleproroghe

La mossa inattesa contro le trivelle ha subito scatenato le reazioni di petrolieri e ambientalisti. Il Roca, l’associazione che segue le estrazioni di gas in Emilia Romagna, nel pomeriggio ha lanciato l’allarme: «Pietra tombale sul settore» ha detto il presidente Franco Nanni. L’autore dell’articolo è stato subito individuato nel ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, del Movimento 5 stelle. Per i Cinque stelle il no alle fonti fossili è sempre stato una bandiera: «Il ministro Patuanelli – ha detto il presidente del Roca – vuole fare passare un articolo, nel cosiddetto Milleproroghe, per vietare su tutto il territorio nazionale il conferimento di nuovi permessi di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi. Questo governo non si rende conto del danno che causerebbe un tale divieto». La minaccia è sempre quella della perdita di forza lavoro e miliardi di introiti in meno, uno scenario che ha spinto i sindacati a intervenire. 

Il segretario generale e il segretario nazionale della Filctem Cgil, rispettivamente Marco Falcinelli e Antonio Pepe, hanno scritto: «Ricordiamocelo, siamo la seconda manifattura in Europa e le conseguenze sarebbero chiusure aziendali che impatterebbero drammaticamente sui livelli occupazionali e di reddito di migliaia di famiglie aumentando la crisi sociale già in corso».

Di tutt’altro avviso le associazioni ambientaliste, che hanno stentato a credere a una scelta così drastica. I ragazzi di Fridays for future in serata hanno scritto su Twitter chiedendosi se davvero il 2020 si sarebbe concluso con una buona notizia per il clima.

Il Coordinamento No Triv, che nel 2016 è riuscito a ottenere la riduzione dei permessi di estrazione in mare e un referendum sulle trivellazioni (anche se finito nel nulla, senza quorum), a tarda sera ha commentato: «Una norma così fuori contesto e così “finta” è veramente difficile perfino immaginarla». Greenpeace, Legambiente e Www hanno lanciato un appello perché il governo non faccia un passo indietro.

Due giorni prima

Mentre tutti si sono agitati per le trivelle, solo due giorni prima, nel silenzio generale, è andata avanti in Parlamento una norma di ben altro tenore. La commissione Bilancio alla Camera ha approvato un emendamento alla legge di bilancio per agevolare il settore della raffinazione, che recava come prima firmataria l’ex ministra Stefania Prestigiacomo, di Forza Italia, ma che ha incassato il benestare della maggioranza.

«Al fine di promuovere lo sviluppo industriale e occupazionale nelle regioni del Mezzogiorno attraverso il mantenimento e l’aumento dell’occupazione – si legge -, il miglioramento della qualità degli investimenti e l’adeguamento delle attività ai cambiamenti economici e sociali», l’emendamento ha stabilito che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge «il ministro dello sviluppo economico, assicurando il coinvolgimento delle imprese, degli enti locali e delle regioni interessati, attiva la procedura per la stipulazione di un accordo con il settore della raffinazione e della bioraffinazione» per promuovere gli investimenti «per la realizzazione di iniziative volte agli obiettivi della transizione energetica e dello sviluppo sostenibile mediante l’utilizzo di quota parte delle risorse derivanti dal gettito delle accise e dell’imposta sul valore aggiunto». Quindi un’agevolazione il cui valore dipenderà dal Mise a favore di Eni, Q8, Lukoil, Saras, Sonatrach, Iplom e Api, le compagnie che gestiscono il settore della raffinazione in Italia.

Il Coordinamento No Triv ha puntato il dito sulla mossa: «Il partito trasversale dell’Oil&Gas, che vede uniti in un sol blocco forze di maggioranza e di opposizione, sindacati maggioritari ed Unem (ex Unione Petrolifera, Ndr) e Confindustria sposa dunque la linea degli aiuti di stato a favore di un settore in crisi strutturale da almeno quindici anni».  Il Coordinamento ha concluso: «La “foglia di fico” della transizione energetica ed il ricatto occupazionale serviranno, anche in questo caso, a legittimare il ripetersi del vecchio schema di socializzazione delle perdite e dei costi ambientali prodotti dalle attività economiche inquinanti».

I sussidi ambientalmente dannosi

Sia nel primo che nel secondo caso, i No Triv hanno rilevato che se lo stato avesse avuto veramente a cuore la transizione energetica sarebbe partito dal taglio dei sussidi ambientalmente dannosi. Agevolazioni per 19 miliardi che nessuno ha il coraggio di toccare. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa in varie occasioni ha provato una timida riconversione finendo travolto dalle critiche. Di recente ha detto a Domani che non se ne riparlerà almeno fino al 2022. Il Coordinamento No Triv, già prima di sapere come sarebbe andata a finire sulle estrazioni, ha commentato: «Quindi, quale credibilità possiamo attribuire al nuovo "finto" Blocca Trivelle?». La mattina dopo nella bozza non c’era già più. Il piano per le raffinerie resta.

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