Per mesi evocata, minacciata e poi smentita, la tassa sugli extra profitti delle banche si è infine abbattuta, ieri mattina, sul sistema finanziario nazionale. L’indice di Borsa, in rosso del 2,1 per cento, è stato affossato dai ribassi di tutti maggiori gruppi creditizi nazionali, da Intesa a Unicredit a BancoBpm, che hanno fatto segnare ribassi compresi tra il 6 e il 9 per cento.

Se la reazione dei mercati era in qualche modo scontata, visto che il provvedimento adottato lunedì sera dal governo va a colpire i profitti di un settore che da più di un anno viaggia a gonfie vele, adesso si tratta di capire in che modo la nuova tassa condizionerà l’attività bancaria e quali potranno essere le contromosse dei banchieri per far fronte a una novità che, va detto, non arriva del tutto inattesa.

A tal punto che negli ambienti finanziari c’è chi accredita l’ipotesi che nelle settimane scorse i vertici dei grandi istituti abbiano avviato una sorta di negoziato sotterraneo con la politica sui tempi e i modi della nuova imposta.

Pochi davvero, però, si aspettavano che il siluro partisse proprio a una settimana da Ferragosto, con la politica ormai in vacanza, e soprattutto dopo che ai primi di giugno, partecipando a un evento organizzato dall’agenzia Bloomberg, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva pubblicamente negato che ci fosse un intervento allo studio.

Va detto, però, che le ultime due settimane di luglio, scandite dalla pubblicazione dei risultati semestrali delle banche avevano di nuovo portato sotto i riflettori della cronaca gli eccezionali aumenti dei profitti del settore. Nei primi sei mesi del 2023, i cinque gruppi più grandi (Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps) hanno prodotto utili per 10,5 miliardi, il 65 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Già il 2022 si era chiuso in forte crescita: più 60 per cento per il risultato netto delle cinque banche leader. L’impennata si spiega con la raffica di rialzi dei tassi decisa dalla Bce. Gli istituti si sono adeguati a tempo di record alle decisioni di Francoforte alzando gli interessi sui prestiti alla clientela.

D’altra parte, i rendimenti dei depositi, che per le banche sono un costo, sono rimasti vicini allo zero. L’allargamento di questa forbice, che nella storia recente non è mai stato così veloce, ha innescato il boom dei profitti.

Margine d’interesse

Il governo ha quindi deciso di colpire una voce particolare del bilancio, il margine d’interesse, che misura proprio la differenza tra i proventi dei finanziamenti alla clientela e la remunerazione dei conti correnti. Questa voce, come segnalato di recente dalla Banca d’Italia corre al rialzo da tempo: i maggiori guadagni per l’intero sistema bancario l’anno scorso sono stati pari al 18,5 per cento rispetto al 2021.

Ecco, allora, che con il decreto approvato lunedì sera, il governo ha deciso di tassare, con un prelievo del 40 per cento, l’incremento del margine d’interesse fatto segnare da tutti gli istituti di credito. La misura si applica in relazione due anni: il 2022 e il 2023 e viene tassato il maggiore tra i due eventuali aumenti del margine d’interesse rispetto al 2021. L’imposta è sottoposta a una sola condizione: l’aumento registrato nei singoli bilanci deve superare il 5 per l’esercizio 2022 e il 10 per cento nel successivo. Nella serata di martedì il ministero dell’Economia ha poi annunciato un ulteriore limite alla nuova imposta, che non potrà superare lo 0,1 per cento dell’attivo di bilancio di ciascuna banca. Una correzione in corsa, resa nota dopo i crolli di Borsa, che secondo il Mef dovrebbe servire a salvaguardare «la stabilità» degli istituti di credito.

Quanto frutterà questa tassa extra alle casse dello Stato? Secondo i primi calcoli degli analisti si dovrebbe arrivare almeno a quota 3 miliardi, soldi che in base a quanto dichiarato da Matteo Salvini nella conferenza stampa di lunedì sera dovrebbero essere impiegati per rastrellare denaro da destinare alla promessa riduzione delle tasse, al taglio del cuneo fiscale e anche all’incremento delle risorse destinate ai mutui prima casa per i giovani.

Non è chiaro in che modo un provvedimento temporaneo possa finanziare una misura strutturale come il taglio delle tasse. In attesa di chiarimenti su questo specifico punto è prevedibile che nei prossimi giorni l’Abi, l’associazione di categoria delle banche, riproponga i dubbi già manifestati nei mesi scorsi ogni volta che veniva prospettato un prelievo straordinario sui profitti.

Gli effetti

A maggio, in un’intervista, il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini aveva paventato una possibile riduzione dei prestiti erogati dalle banche proprio per effetto del nuovo prelievo. Le tasse sui presunti extra profitti, argomentava Sabatini, arriverebbero in una fase di rallentamento dell’economia che di solito causa un aumento degli accantonamenti bancari sui crediti a rischio.

Questi accantonamenti, sommati agli oneri delle nuove imposte, finirebbero per ridurre la capacità degli istituti di finanziare l’economia reale. Quanto agli aumenti a doppia cifra del margine di interesse, secondo l’Abi si spiegherebbero col fatto che il 2021, con i tassi d’interesse vicini allo zero, era stato un anno di magra con cui è sbagliato fare confronti.

Per ipotizzare le ricadute concrete della nuova imposta si può prendere come esempio il caso della Spagna, dove il governo di centro sinistra guidato da Pedro Sánchez alla fine dell’anno scorso ha introdotto un’imposta simile (ma non uguale) sugli utili bancari.

Il provvedimento è stato impugnato davanti all’Alta Corte di Madrid dai due principali gruppi creditizi iberici (Santander e Bbva) e dall’associazione di categoria. In attesa di un verdetto, il fisco spagnolo ha incassato circa 1,4 miliardi di euro.

Nei mesi scorsi, i due più importanti banchieri italiani si erano già espressi sull’ipotizzata tassa sugli extra profitti. Contrarietà netta da parte di Andrea Orcel, a capo di Unicredit. Più possibilista Carlo Messina di Intesa.

Nel 2022, quando il governo Draghi varò un’imposta supplementare sui profitti delle società energetiche, il provvedimento venne accolto da una raffica di ricorsi e alla fine ha fruttato molto meno del previsto, meno di 3 miliardi sui 10 miliardi attesi. Tempo poche settimane e si capirà se il nuovo siluro, questa volta targato Giorgia Meloni, riuscirà a colpire il bersaglio.

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