Assumere un esercito di precari in deroga ai limiti previsti per il lavoro in somministrazione o a tempo determinato, per sbrigare le pratiche per gli stranieri da far lavorare nei nostri campi, nelle nostre case, nei nostri alberghi e nei nostri ristoranti. L’articolo 109 della legge di Bilancio del governo Meloni – “Misure per la funzionalità del ministero dell’Interno” – illustra il modo paradossale in cui vengono gestite le questioni del lavoro e dell’immigrazione in Italia, proprio mentre il nuovo ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, annuncia al Consiglio Ue che per il 2023 l’Italia potrebbe accogliere regolarmente 100mila stranieri.

La legge di Bilancio stanzia fino a 37,7 milioni di euro per il 2023 perché il ministero dell’Interno possa pagare «una o più agenzie di somministrazione del lavoro, prestazioni di lavoro a contratto a termine» per consentire di svolgere rapidamente le procedure del decreto legge del 21 giugno 2022, cioè il decreto che doveva semplificare il rilascio del nulla osta per il lavoro stagionale, e quelle della sanatoria 2020 per la regolarizzazione degli stranieri presenti sul territorio italiano ma lavoratori in nero (mezzo milione di persone dimenticate, secondo la Caritas).

È da molti anni che la programmazione dei flussi triennale prevista dalla legge viene accantonata per motivi ideologici, spiega l’avvocato Antonio Savio dell’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Così il decreto flussi rinnovato di anno in anno è stato per molto tempo insufficiente anche a garantire le richieste delle imprese.

Flussi e sanatorie

Si è passati da una quota di 15mila ingressi negli anni 2014-2015 ai 30mila tra il 2016 e il 2020. Nell’anno della pandemia, soprattutto sotto il pressing delle aziende del settore ortofrutticolo, la ministra Teresa Bellanova ha aperto a una mega sanatoria per i lavoratori irregolari del settore agricolo, del turismo e della cura e assistenza della persona, le tante badanti irregolari. Bastavano 500 euro, spesso pagati dagli stessi lavoratori, oppure 150 euro per chi dichiarava di aver trovato un lavoro, e tutto era dimenticato . «Molte di quelle procedure sono in stallo», dice Savio, dopo anni in cui le istituzioni hanno scelto di non gestire il fenomeno migratorio.

In più, mentre si moltiplicavano le denunce di imprenditori del turismo contro il Reddito di cittadinanza che impediva di trovare lavoratori, il decreto licenziato a dicembre 2021 ha aumentato la quota di ingressi di stranieri a 69.700 di cui 42mila per il lavoro stagionale in agricoltura e nel settore turistico alberghiero. E quest’estate anche l’ex ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, chiedeva di rispondere alle domande delle aziende, anche se poi smentito dal suo partito. Ora per avere lavoratori per i campi la Coldiretti ha chiesto al governo di aprire a 100mila ingressi, e a breve deve essere messo a punto il nuovo decreto flussi.

Il ministero dell’Interno però non sembra attrezzato per gestire i flussi di migrazione regolare. Così nella legge di Bilancio, oltre a ottenere fondi per l’ampliamento dei «centri per il rimpatrio» (5,4 milioni per il 2023, 14,3 per il 2024 e 16,1 per il 2025), il Viminale viene autorizzato a stipulare contratti con agenzie di somministrazione del lavoro anche in deroga alle regole sui bandi di gara pubblici. E cioè in deroga alle norme sulle fasi e sulle tempistiche di procedura dell’appalto, a quelle che regolano i contratti sotto soglia, a tutte le regole che definiscono le varie tipologie di gara, e anche a quelle che regolano la modifica dei contratti già sottoscritti. Un’enorme deregulation che evidentemente serve per rispondere alle emergenze di domanda di lavoratori stagionali. I cui documenti, condizioni di regolarità, certificazione dei requisti saranno vagliati da lavoratori se possibile ancora più precari. La gestione di lavoro e migrazioni modello Italia, modello Meloni.

© Riproduzione riservata