Un assaggio di come potrebbe essere un’Europa a maggioranza di centrodestra si è avuto ieri, con la votazione da parte del Parlamento Ue sul nuovo regolamento in materia di imballaggi, il Packaging and Packaging Waste Regulation (Ppwr). Con 426 voti a favore, 125 contrari e 74 astensioni è passata una versione edulcorata del provvedimento, grazie agli emendamenti approvati sotto la pressione soprattutto dell’Italia, paladina degli interessi del mondo aziendale che ruota intorno ai produttori di plastica, agli agricoltori, al mondo del riciclo. Il prossimo passo prevede i colloqui tra il Parlamento e i governi nazionali sulla forma finale della legge, una volta che il Consiglio avrà adottato la sua posizione.

Salvi molti dei punti-chiave del regolamento. Primi tra tutti gli obiettivi di riduzione dei rifiuti prodotti dagli imballaggi: il 5 per cento entro il 2030, il 10 per cento per il 2035 e il 15 per cento entro il 2040. I deputati hanno poi proposto obiettivi specifici di riduzione dei rifiuti per gli imballaggi in plastica (10 per cento entro il 2030, 15 per cento entro il 2035 e 20 per cento entro il 2040).

Ma come ha sottolineato il vicepremier Antonio Tajani, c’è stata «al Parlamento europeo una grande vittoria di Forza Italia e del Ppe con importanti modifiche al regolamento sugli imballaggi. Bloccata la deriva populista sul riuso spinto che penalizza industria e agricoltura». Soddisfazione anche da Pd per l’inserimento della deroga «per tutti quei paesi che, come l’Italia, negli ultimi anni hanno investito in un sistema di riciclo ad alta qualità, tra i più efficienti a livello europeo: chi raggiungerà l’85% di quota di riciclo degli imballaggi interessati sarà infatti esentato dall’obbligo di riuso».

Da mesi le lobby premevano per modificare un provvedimento che si propone di limitare la produzione di rifiuti riducendo gli imballaggi e l’usa-e-getta, e di incentivare il riuso. Uno scenario che spaventa tanti, dai fornitori di insalata in busta ai produttori di bicchierini di carta, come Antonio D’Amato, presidente del gruppo d’imballaggi in Seda, secondo il quale sarebbe a rischio il 30% del Pil italiano.

Una cifra abnorme, citata anche dalla Coldiretti e da altre associazioni imprenditoriali, che non si capisce da dove venga fuori: nel 2022, il valore dell’agroalimentare era pari al 2,2 per cento dell’economia italiana, l’industria alimentare valeva l’1,6 per cento, per un totale di circa 70 miliardi di giro d’affari. Se poi aggiungiamo i 36 miliardi di fatturato dell’industria del packaging, gli 8,5 miliardi di euro dei costruttori di macchine per il confezionamento, si arriva a 114,5 miliardi, ben lontano dai 572 miliardi equivalenti al 30 per cento del Pil.

Oltre a paventare la perdita di migliaia di posti di lavoro, le lobby sostengono che il riuso dei bicchieri o dei contenitori per il cibo consumerebbe più acqua e produrrebbe più Co2 rispetto all’utilizzo di confezioni usa-e-getta.

Queste tesi sono basate su vari studi che in realtà sono finanziati dalle stesse industrie. E che sono smentiti da un’indagine condotta dal Jrc, il braccio scientifico della Commissione Ue, che ha il compito di fornire prove indipendenti a sostegno dello sviluppo delle politiche europee: il centro ha avviato nel maggio 2023 uno studio i cui risultati preliminari mostrano che il riutilizzo ha impatti ambientali inferiori rispetto alle diverse alternative monouso, in particolare per emissioni di gas serra e consumo di acqua.

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