La previsione (non ufficiale) degli esperti è unanime: in queste condizioni Ita airways, la nuova Alitalia partita il 15 ottobre, purtroppo non ce la può fare. Un pronostico che se ne porta dietro un altro come corollario: prima o poi Ita è destinata a finire nelle braccia di qualche grande compagnia straniera, probabilmente Lufthansa o in alternativa Air France o forse l’americana Delta. Proprio per questo tutti si domandano perché, se l’esito finale è scontato, il governo si incaponisca a far piovere nelle casse della effimera compagnia così tanti soldi dei contribuenti: 750 milioni di euro solo per incentivare la partenza che possono via via salire nei prossimi anni fino a circa il doppio. Che bisogno c’è?

Per rispondere si possono solo avanzare ipotesi, la più plausibile delle quali è tutta di natura politica, anche se di una politica di livello non proprio eccelso. Nessun governo, nessun partito e nessun parlamento vuole passare alla storia come quello che, dopo decenni contrassegnati anche da successi, spegne la luce sul trasporto aereo di uno dei più grandi paesi del mondo come l’Italia.

Ministri e parlamento si stanno impegnando a fondo per facilitare l’avvio della compagnia sperando di farla campare almeno un po’ in attesa di un colpo di fortuna, anche ricorrendo a decisioni estreme. Come quella, per dirne una, di predicare la necessità di un contratto collettivo di lavoro di riferimento per il trasporto aereo consentendo contemporaneamente a Ita di imporre in modo unilaterale un regolamento che quasi dimezza gli stipendi.

Scelte estreme

Considerata da questo punto di vista la nascita della compagnia pubblica, fragile, ma con una bella dotazione finanziaria, è un accanimento di cui la politica non può fare a meno, un modo per evitare un funerale di stato in attesa di un salvatore. Così da poter estrarre al momento opportuno il coniglio dal cilindro sotto forma di una nuova entità aerea frutto di un accordo che sarà presentato al pubblico come tra pari grado, comunque non una resa o una svendita.

Anche se la variante tempo può giocare brutti scherzi perché è da vedere se la debole Ita riuscirà a stare a galla senza dilapidare in fretta il patrimonio consentendo così alle grandi compagnie estere di intervenire quando saranno in grado di farlo, cioè sistemate le cose in casa propria dopo la pandemia.

Troppe le circostanze avverse perché Ita possa volare da sola: la flotta minuscola di 52 aerei di cui solo 7 per il lungo raggio, il segmento dei voli dove solitamente si riescono a fare soldi. Una dimensione bazzotta per scelta, né sufficientemente grande per competere alla pari nel mercato delle grandi compagnie europee, né sufficientemente agile in modo da poter tenere testa alle low cost, tipo Ryanair e Easyjet che da anni si stanno mangiando il ricco mercato nazionale e turistico.

Tra le avversità di Ita c’è anche l’incertezza sui tempi di ripresa del trasporto aereo mondiale ancora condizionato dall’evoluzione della pandemia e la decisione di partire comunque alla garibaldina e in modo assai confuso, quasi per puntiglio, proprio nel periodo peggiore del business dei voli, quando tutte le compagnie del mondo si ritraggono in attesa che la primavera porti tempi migliori.

Infine c’è anche la qualità del management. Il presidente esecutivo Alfredo Altavilla e l’amministratore delegato Fabio Lazzerini hanno fornito in passato prove convincenti nei rispettivi ambiti di intervento, l’auto Altavilla, soprattutto il turismo Lazzerini. Entrambi, però, sono stati catapultati in un settore molto complesso come quello aereo che richiede competenze tecniche molto specifiche che non si inventano con uno schiocco di dita e che essi non hanno.

Tavola imbandita

Fin dall’inizio dell’avventura di Ita molti segnali hanno indotto a sospettare che in realtà si stesse apparecchiando il tavolo per Lufthansa. Il più vistoso di questi segnali è stato quello di separare l’area manutenzione e handling (gestione dei bagagli) da quella volo che in Alitalia erano tutt’uno. Lufthansa ha sempre fatto sapere di non essere interessata alle prime due attività, sulla scorta dell’impostazione usata con Swiss Air di cui ha inglobato la parte aviation lasciando che la società di handling Swiss Port se la prendessero i cinesi.

A quel punto Ita rimpicciolita, con il personale ridotto all’osso, gli stipendi falcidiati, nuovi Airbus sulle piste e l’hub spostato di fatto da Roma a Linate diventerebbe una compagnia regionale come Air Dolomiti (sempre Lufthansa) ideale per convogliare la clientela italiana del lungo raggio verso i grandi scali tedeschi.

Il piano industriale di Ita è sempre sembrato orientato verso questo sbocco. Anche se di recente c’è stata una sorpresa: Ita ha rinnovato l’alleanza commerciale con Sky Team subentrando ad Alitalia. Sky Team significa Air France e Delta e c’è chi ha supposto che questo possa essere il segnale di un cambio di indirizzo da Lufthansa a Air France o forse verso l’americana Delta.

Tempo fa quest’ultima compagnia aveva dimostrato un moderato interesse per Alitalia anche se poi era scappata di fronte ai contorcimenti della politica e del management. Ma era un’altra storia, Alitalia non c’è più, ora c’è Ita.

© Riproduzione riservata