È ancora battaglia campale per la vendita di Ita Airways, la compagnia che dal 15 ottobre dell’anno passato ha preso il posto di Alitalia. Nelle ore precedenti il Consiglio dei ministri del 4 agosto che secondo le indiscrezioni avrebbe dovuto chiudere la partita e non lo ha fatto, sono state sparate altre cannonate ad alzo zero.

Non dalle due cordate in lizza, però, cioè da una parte la grande compagnia di navigazione Msc alleata con la tedesca Lufthansa e dall’altra il fondo americano Certares coadiuvato da Air France e Delta Airlines. Quest’ultimo, anzi, è sparito, dando l’impressione di non essere mai entrato in partita. A sparare sono stati altri.

Di nuovo si è attivato Fratelli d’Italia che con il deputato romano Fabio Rampelli, molto ascoltato da Giorgia Meloni, ha intimato l’alt a Mario Draghi per la seconda volta in pochi giorni invitandolo a non decidere alcunché su tutta la faccenda che a giudizio suo e del suo partito è materia da riservare al prossimo governo. Il premier ha risposto ieri in conferenza stampa: «Non è mia intenzione lasciare la questione al governo successivo, dobbiamo fare il nostro lavoro fino in fondo».

Rampelli ha cercato di politicizzare al massimo la questione della vendita partendo dalla convinzione che contrastarla a spada tratta in nome della difesa dell’italianità possa essere un buon argomento raccatta voti da spendere in campagna elettorale. Per ribadire la sua totale contrarietà all’operazione, il deputato di Fratelli d’Italia ha sfruttato una dichiarazione dell’amministratore delegato di Lufthansa, Carsten Spohr, che aveva sollecitato il governo italiano a prendere una decisione: «Siamo il partner ideale per Ita e siamo interessati all’affare» aveva detto in sostanza Spohr, ma constatando che la storia va avanti da mesi senza risultati, aveva anche aggiunto di «non avere una pazienza infinita».

Preparazione accurata

Secondo indiscrezioni insistenti, sarebbe proprio Lufthansa insieme a Msc la vincitrice della gara per Ita. Il presidente Alfredo Altavilla, del resto, ha fatto di tutto perché si arrivasse a questa conclusione, innescando l’ennesimo scontro con l’amministratore delegato, Fabio Lazzerini, che invece vedeva di buon occhio l’ingresso di Certares e Air France.

Ita è stata rimpicciolita e ridotta alle dimensioni adatte per la vendita: la flotta Alitalia di 104 aerei è stata falcidiata e il numero dei dipendenti che era di oltre 11mila è stato drasticamente ridotto a un terzo, circa 3.300 persone. La vecchia azienda è stata inoltre amputata delle due importanti società ancillari, la manutenzione e l’handling. La manutenzione è stata affidata alla napoletana Atitech mentre l’handling è finito a Swissport.

Sono stati eseguiti, insomma, tutti i passaggi per pilotare la vendita di Ita verso Lufthansa. I capi della compagnia di Fiumicino hanno dato l’impressione fin quasi da subito che il loro obiettivo non sarebbe stato provare a far nascere una compagnia capace di stare da sola sul mercato, ma che volare fosse un’operazione di facciata in attesa che si compisse ciò che era necessario, cioè la vendita. I risultati economici di Ita sono più che modesti nonostante sia partita con una dote straordinaria di 750 milioni di euro elargiti dal ministero dell’Economia con la possibilità consentita dall’Ue di farli diventare addirittura 1 miliardo e 350 milioni. Oggi Ita perde circa 2 milioni di euro al giorno, cioè quanto perdeva Alitalia con una flotta doppia.

Il padrone Msc

È di questa azienda tutt’altro che florida che Lufthansa ora prenderà la guida insieme a Msc ed è evidente che la compagnia tedesca è interessata agli slot (diritti di atterraggio e decollo) e al mercato italiano, soprattutto quello del lungo raggio che Ita bene o male ancora presidia, con l’obiettivo di trasferirlo verso l’hub di Francoforte.

Alla fine comunque il vero nuovo padrone della compagnia italiana non sarà l’azienda tedesca dei voli, ma la Msc che di Ita avrà il 60 per cento del capitale mentre Lufthansa solo il 20 (l’altro 20 resterà di proprietà pubblica). Lufthansa ha tutta l’aria di essere il partner industriale dell’operazione, senza dubbio importante, ma non decisivo.

La collocazione in ambito internazionale di Msc è incerta. Nel senso che la sede ufficiale è senz’altro in Svizzera, ma a lungo il proprietario Aponte, che è nato in Italia a Sant’Agnello sulla costiera sorrentina, ha dato l’impressione di aver scelto la Francia come patria ideale per coltivare i suoi affari mondiali. Solo di recente Aponte è tornato a guardare all’Italia come paese in cui fare investimenti dopo avergli voltato le spalle molti anni fa.

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