Il mercato ha prezzato la fuoriuscita dell'amministratore delegato di Unicredit Jean Pierre Mustier: il valore delle azioni della seconda banca italiana è crollato per il secondo giorno di fila, perdendo oltre l’8 per cento in una sola seduta. Ieri gli analisti della società di investimento Fidentiis hanno anche annunciato il declassamento del titolo e nel rapporto che spiega la decisione riassumono la situazione dell'istituto di credito in poche parole: «Unicredit sta entrando in un limbo di nove – dodici mesi». Il ragionamento è lineare. La sua fuoriuscita mette in discussione in un colpo solo la politica di dividendi della banca, il piano industriale che, parole di Mustier «Non corrisponde più alla visione del consiglio di amministrazione» - e spinge automaticamente a considerare finita la stagione del rifiuto delle acquisizioni di cui il banchiere aveva fatto un mantra. Corollario: il potenziale partner è il Monte dei Paschi di Siena, che lo Stato sta cercando di vendere offrendo le migliori condizioni possibili all'unica banca, esclusa Intesa San Paolo mossasi con grande anticipo su Ubi banca, che per dimensioni potrebbe ingoiare il boccone.

Appesi al governo

Ma Mustier resterà in sella fino a fine aprile, quando è fissato il consiglio di amministrazione, lasciando la banca con un piano industriale che la realtà ha smentito e con di fronte la possibilità di una operazione fortemente voluta dal ministero del Tesoro ma su cui pesano molti rischi e variabili slegate dalle logiche industriali. La prima anzi è legata a quelle parlamentari: nella legge di bilancio sono stati inseriti generosi incentivi per sostenere le fusioni bancarie, ma perché l'acquisizone del Monte dei Paschi di Siena non abbia un impatto sul patrimonio di Unicredit a entrambe le banche dovrebbero vedersi riconoscere tutto il monte di perdite fiscali legata alla cessione di crediti deteriorati, che solo per Mps è di 3,7 miliardi. Invece su questo punto c'è una battaglia in corso in parlamento. Il M5s ha presentato due diversi emendamenti: uno per mettere un limite al riconoscimento dei crediti fiscali a 500 milioni, l'altro per estenderli in caso di aumento di capitale. «Il M5s è  pronto a far saltare il governo sulla questione Mps?», si chiedono in ambienti bancari. 

L’incertezza delle condizioni

Ma ci sono altre condizioni che dovrebbero essere rispettate. Monte dei Paschi di Siena ha annunciato la perdita di circa 1,5 miliardi di euro dopo i primi nove mesi del 2020, il 13 novembre la banca ha fatto sapere che non rispetta più i requisiti patrimoniali minimi previsti dalla Banca centrale europea e ha spiegato che lo stato in quanto azionista avrebbe garantito un aumento di capitale. Ma non è chiaro se si può evitare una ricapitalizzazione senza invece coinvolgere obbligazionisti e azionisti come da norme europee, né quanto capitale possa servire. Poi bisogna trovare una formula per evitare di portare in pancia al possibile acquirente e quindi eventualmente a Unicredit dieci miliardi di rischi legali. Nel piano che oggi è allo studio del ministero dell'economia ci sarebbe una fusione condizionata a seimila – settemila esuberi che fanno parte del negoziato tra le parti. Anche perché Unicredit dovrebbe adeguarsi su altri fronti: sul tavolo di Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro in prima fila nella gestione del groviglio, c'è una data: il 31 dicembre 2021, la scadenza concordata con la Commissione europea per la privatizzazione della banca senese. Fidentiis calcola che un buon accordo corrisponderebbe a un pacchetto di 5 miliardi da parte dell'esecutivo in favore della banca guidata ancora per poco da Mustier. Ma oggi nessuno, tra sindacati, analisti, parlamentari consultati ha delle certezze.

Ogni tipo di speculazione

A proposito del futuro di Unicredit, istituto da quasi 19 miliardi di ricavi nel 2019 e 82mila dipendenti, Fidentiis scrive: «In questi mesi ogni opzione può essere possibile. Facciamo fatica a credere che un investitore possa investire i propri soldi in Unicredit in questo contesto, con al centro i problemi della pandemia Covid 19» e ancora crediamo che «ci sia un periodo dai nove ai dodici mesi di molta poca chiarezza in cui potrebbe esserci ogni tipo di speculazione». Anche se Mustier resta formalmente al timone, in realtà si ripete lo stesso copione di vuoto al potere seguito alla fuoriuscita di Federico Ghizzoni, il suo predecessore che rifiutò un intervento su Banca Etruria per finire incastrato dalla firma di un accordo di garanzia sul salvataggio mai avvenuto della Popolare di Vicenza. Oggi il comitato nomine dà il via al processo di selezione dei candidati ai vertici, che per di più sarà gestito da chi tutte quelle operazioni le ha seguite dall'altro lato della barricata, l'ex ministro Pier Carlo Padoan. E il paradosso è che Mustier toccherebbe persino fare il tifo per il suo successore. Invece che una buona uscita l’amministratore delegato riceverà un premio in titoli dell’istituto che negli anni della sua gestione erano già calati di oltre il 10 per cento.

Eppure il cinque febbraio 2020 il consiglio di amministrazione ha approvato di destinargli un premio di risultato di 486.391 azioni, un ammontare che se lunedì mattina poteva valere 4,2 milioni di euro oggi si è già virtualmente ridotto a 3,8 milioni. Per di più gli saranno assegnate solo nel 2023 se la banca raggiungerà certi obiettivi. Anche il suo guadagno, come le sorti della seconda banca italiana, è nell’incertezza.

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