L’a norma con cui nel 2017 il parlamento ha fatto piovere sul teatro Eliseo di Luca Barbareschi otto milioni di euro è illegittima. A mettere un punto alla lunga vicenda giudiziaria e politica attorno allo storico teatro romano, è la Corte costituzionale.

Con la sentenza depositata ieri (e pronunciata il 26 aprile scorso) i giudici costituzionali hanno dato, infatti, ragione al teatro Quirino, Ambra Jovinelli e Sistina, che avevano contestato gli aiuti di stato al teatro acquistato nel 2014 dall’attore e ex parlamentare di Alleanza nazionale, Luca Barbareschi, per ripristinare le «condizioni di concorrenza e pluralismo» nel settore teatrale.

Le ragioni della bocciatura

Scrivono i giudici che il problema di quell’emendamento bipartisan è che è «incongruo» e «sproporzionato». Incongruo perché la legge destinava quei fondi a «spese ordinarie e straordinarie, al fine di garantire la continuità delle attività in occasione del centenario della sua fondazione». Secondo la Corte quei soldi sarebbero dovuti essere impiegati per onorare il centenario e rilanciare la programmazione artistica, invece il teatro ha potuto utilizzarli per qualsiasi spesa. Senza quei soldi il teatro avrebbe chiuso le porte, cosa che però poi è successa comunque, nonostante gli otto milioni pagati dallo stato e da noi con la giustificazione del centenario. Scrivono i giudici che «all’assegnazione del contributo in denaro avrebbe dovuto affiancarsi condizioni vòlte ad assicurare la sua efficacia, intesa come capacità di raggiungere le finalità prefissate».

L’intervento, poi, è «sproporzionato», anzi recita la sentenza la misura del beneficio è «macroscopicamente eccentrica» rispetto ai fondi che vengono assegnati al comparto tramite il Fus, il Fondo unico per lo spettacolo. Questi fondi sono distribuiti tra teatri nazionali, di rilevante interesse culturale, tra imprese e centri di produzione teatrale, secondo un punteggio che tiene conto di alcune caratteristiche oggettive, come tipologia del beneficiario e dimensioni dell’impresa, ma anche del pregio artistico dei progetti presentati. 

Attraverso il Fondo unico per lo spettacolo «lo stesso Eliseo ha percepito molto meno di un decimo di quella cifra, per annualità. Per altro verso, questa sovvenzione supera, in misura ampia, quelle riconosciute a istituzioni promotrici di arte e cultura al ricorrere di occasioni specifiche o per la realizzazione di progetti particolari». Peraltro lo dimostra la stessa memoria depositata dall’Eliseo che portava teoricamente a sua difesa gli aiuti elargiti fuori dal fondo unico per lo spettacolo. 

C’è poi un’altra peculiarità sottolineata dai giudici della corte costituzionale. La prima versione della norma (all’articolo 22 del decreto legge numero 50 del 2017) prevedeva un esborso di due milioni di euro a favore del teatro. Poi nel passaggio parlamentare, i fondi sono lievitati fino al quadruplo di quanto previsto in un primo momento dal ministero. Come ha motivato il parlamento questa scelta nella relazione illustrativa e tecnica che ha accompagnato la legge? Semplicemente non l’ha motivata, ripetendo la stringata e problematica motivazione contenuta nel decreto, quella delle spese ordinarie e straordinarie in vista del centenario. 

La conclusione dei giudici è netta: «Non è, dunque, possibile cogliere dalla lettura dei lavori parlamentari le ragioni per cui è stato deciso quel notevole incremento». Che peraltro si aggiungeva ad altri contributi pubblici ricevuti in nome del fatto che si trattava di un ente classificato «di rilevante interesse culturale»

Barbareschi aveva definito la norma «una legge voluta dallo Stato per aiutare l’Eliseo a sopravvivere, ma siccome la madre dei cretini è sempre incinta qualcuno ha ben pensato di revocare questa legge che poteva essere prolungata per gli anni a venire per dare all’Eliseo il minimo sindacale per sopravvivere». Quindi il solo modo per sopravvivere sarebbe stato ottenere milioni di euro dallo stato. A febbraio Barbareschi che per questa vicenda era stato indagato per traffico di influenze è stato assolto con formula piena. Nel giorno della sentenza aveva annunciato che avrebbe chiesto «i danni allo stato per questo accanimento nei miei confronti» e che stava cercando risorse private per riaprire il teatro. 

 Ora la sentenza dei giudici costituzionali, scritta un mese dopo quell’assoluzione, dice che quegli aiuti erano comunque illegittimi, solo che la responsabilità di quella illegittimità è del ministero e soprattutto dei parlamentari che hanno fatto lievitare i fondi, mentre altri teatri romani, compresi altri in crisi finanziaria, al confronto sono rimasti a bocca asciutta. 

I “competitor” che si sono rivolti alla Corte costituzionale non a caso si erano appellati alle norme contro gli aiuti di stato e alle leggi sulla concorrenza che sulla carta dovrebbero garantire a tutti gli imprenditori, anche quelli del comparto culturale, le stesse opportunità. Nel paese in cui le lobby vincono sempre bisognerebbe iniziare a dire che sono i politici che decidono chi vince e chi perde.

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