La vicepresidente della Commissione europea Margrethe Vestager l’ha definita «una grossa sconfitta per l’equità fiscale». Ieri la Corte di Giustizia dell’Unione ha ribaltato la sentenza del tribunale Ue che nel 2019 aveva dichiarato l’accordo fiscale concordato tra il Gran Ducato di Lussemburgo e Fiat Chrysler – Fca – oggi Stellantis –  un aiuto di stato illecito. 

La sentenza della Corte, pronunciata ieri mattina, è un grosso colpo per la lotta all’elusione fiscale all’interno dell’Unione europea. I giudici definiscono errata la analisi della Commissione europea che nel 2015 aveva chiesto al Lussemburgo di recuperare gli aiuti di stato e sottolineano che è il Lussemburgo a dover valutare quale sia il riferimento a livello di imposizione fiscale corretto in questi casi.

Si tratta della fine di una storia decennale, iniziata quando nel settembre del 2012  le autorità del Lussemburgo, a capo del governo c’era allora il futuro presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, accordano a Fiat Chrysler Finance Europe, la società che fornisce i servizi di tesoreria e finanziamenti a tutte le aziende del gruppo Fiat Chrysler, una decisione fiscale anticipata attraverso la quale viene determinato in anticipo l’utile imponibile della società, e quindi anche le imposte che dovranno essere pagate al Gran Ducato.

Per la Commissione europea quell’accordo garantito alla società da cui passano i finanziamenti infragruppo permette alla multinazionale dell’automotive di risparmiare fino a 30 milioni di euro di imposte a partire dal 2012. Non si tratta di un caso isolato: a fine 2014 l’inchiesta Lux Leaks porta alla luce ben 343 accordi fiscali sottoscritti durante il governo Juncker con aziende multinazionali. In ogni caso nel 2015 la direzione concorrenza dichiara quello a Fca un aiuto di stato che viola la concorrenza tra gli stati membri e come tale chiede al Lussemburgo di recuperarlo. 

Fiat – Fca fa ricorso al tribunale Ue, il Lussemburgo pure. Quattro anni più tardi i giudici di primo grado confermano l’analisi della Commissione: il metodo di determinazione della remunerazione della società deciso dal Lussemburgo, si legge nella sentenza di allora, non solo violava la libera concorrenza, ma «aveva ridotto al minimo la remunerazione» della società e quindi anche l’imposizione fiscale. 

Di nuovo sia il Lussemburgo che  Fca impugnano la sentenza: la multinazionale nel suo ricorso chiede di annullare il giudizio e anche di condannare la Commissione europea a pagarle i costi della causa di primo grado. Ieri la Corte Ue ha dato ragione alla azienda e alle autorità lussemburghesi e lo ha fatto con una motivazione che sembra andare in direzione opposta a quella intrapresa formalmente dagli stati Ue nella lotta all’elusione fiscale. 

I giudici spiegano, infatti, che l’errore di analisi delle autorità europee e dello stesso tribunale Ue sta nel fatto di aver sbagliato il sistema di riferimento per confrontare il corretto livello di imposte: solo il «diritto nazionale applicabile nello stato membro interessato», si legge nel comunicato della Corte, «deve essere preso in considerazione per individuare il termine di paragone delle analisi sulla corretta imposizione fiscale».  

In realtà la Commissione aveva preso a riferimento le norme fiscali lussemburghesi, ma secondo i giudici avrebbe dovuto anche tenere conto di come quelle norme vengono nella pratica tradotte dal Granducato, con buona pace dei poteri di antitrust della Commissione. 

La vicepresidente della Commissione europea e commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager dopo aver definito la sentenza un colpo all’equità fiscale, in una nota ufficiale ha calibrato i toni, cercando di vedere gli aspetti favorevoli della sentenza. Magrissima consolazione: i giudici premettono che la Commissione ha competenze in materia di aiuti di stato anche in settori come quello tributario di competenza sostanzialmente dei paesi membri.

Per il resto ha ribadito che la Commissione «si impegna a continuare a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per garantire che la concorrenza leale non venga distorta nel mercato unico a causa della concessione da parte degli stati membri di agevolazioni fiscali illegali alle società multinazionali». Solo che gli strumenti sono pochi. Ieri per la prima volta dal 1997 i ministri dell’economia e delle finanze hanno dato il via libera alla revisione del codice di condotta  per la tassazione delle imprese che prevede che vengano analizzati non solo le misure preferenziali, ma anche il sistema di imposizione generale. Peccato che il tax ruling accordato dal Lussemburgo a Fca faccia parte proprio delle misure preferenziali su cui già doveva esserci un impegno politico condiviso. Abbiamo visto cosa succede a un codice di condotta in un’aula di un tribunale. 

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