«Accidenti, quante cose», lo ha ripetuto più di una volta il presidente del consiglio Mario Draghi, parlando del lungo elenco di scadenze di maggio previste dal piano di ripresa e resilienza. «Ci stiamo arrivando ma le abbiamo fatte tutte», spiegava appena cinque giorni fa in conferenza stampa, annunciando che entro la fine di questa settimana sarebbero stati presentati sia il decreto sulla governance del Pnrr che quello sulle semplificazioni, per poi essere inviati alla Commissione europea.

Oggi con lo slittamento annunciato del decreto semplificazioni, rimandato a una nuova cabina di regia tra i ministri e i capo delegazioni dei partiti, e slittato per forza di cose a giugno, quella garanzia del «le abbiamo fatte tutte» scricchiola.

La governance del piano che sembrava il punto più spinoso dell’architettura del Recovery plan durante il governo Conte II, al punto da aprire una crisi di governo, si è trasformata in uno dei pochi punti su cui le discussioni tra i partiti non intaccano la tabella di marcia.

Geometrie variabili

La struttura su cui ieri la riunione dei ministri ha trovato l’intesa prevede tre livelli di governance, che sono in sostanza un accentramento delle funzioni sulla presidenza del Consiglio e il ministero dell’Economia. La famosa cabina di regia politica del piano incaricata dei compiti di indirizzo, di coordinamento e di valutazione delle eventuali criticità sarà guidata dal presidente del Consiglio. I ministri e i sottosegretari vi parteciperanno in base ai temi affrontati di volta in volta, e eventualmente gli enti locali interessati. Per il resto la programmazione finanziaria, il monitoraggio del rispetto delle tempistiche e la struttura di audit e controllo spetterà alla direzione generale che sarà creata sotto il ministero dell’Economia di Daniele Franco. Il resto del meccanismo annunciato ieri, tavolo permanente con le parti sociali e con gli enti locali e aggiornamento del parlamento, sono condizioni di fatto necessarie per il contratto con l’Europa. Insomma, poco da discutere. Lo stesso vale per le strutture ad hoc che dovrebbero essere create in ogni ministero.

Palazzo Chigi al centro

Sul sistema di gestione, che dovrebbe essere tradotto in un decreto giovedì o venerdì, si sono tenute diverse riunioni con le forze politiche, ma fonti di governo sostengono che non ci siano state particolari tensioni.

A oliare la macchina sarà una struttura tecnica di palazzo Chigi, di cui si sa poco. Anche se certamente non si parla di dirigenti esterni esenti dai controlli della corte dei Conti come nella governance immaginata da Conte.

La presidenza del Consiglio si è rafforzata di recente con nuovi innesti. Un esempio su tutti alla presidenza del Consiglio è arrivato da Cdp l’allievo di Bernardo Mattarella, Fabio Di Cristina, esperto di diritto amministrativo, semplificazioni, trasparenza. Quasi certamente un ruolo importante lo avrà l’attuale dipartimento della programmazione economica diretto da Marco Leonardi. Ma l’impressione è che Draghi abbia ottenuto una piramide con un vertice più libero dalle influenze dei partiti della sua maggioranza, con l’effetto collaterale di farle ricadere sul livello più basso, con battaglie più o meno sotterranee o meglio più o meno evidenti su ogni singolo provvedimento.

Il caso Sostegni bis

L’ultimo caso, eclatante, è la versione fatta filtrare (anche) da palazzo Chigi sulla proroga del blocco dei licenziamenti ad agosto inserita nel decreto sostegni bis e opposta a quella sostenuta dal ministro del Lavoro Andrea Orlando. La prima descrive sostanzialmente la misura, messa alla gogna da Confindustria, come un blitz del ministro, il quale invece rivendica l’unanimità della decisione. Una faglia negli equilibri di governo che sembra superare anche i tentativi maldestri della Lega di Matteo Salvini di attaccare il ministro della Salute, Roberto Speranza. E che ieri si è tradotta in un vero stallo con il decreto ancora in attesa della bollinatura della ragioneria dello stato, risolto solo alla fine di una lunga giornata con una soluzione di compromesso. Le aziende che si impegneranno a non licenziare potranno continuare a usare la cassa integrazione senza oneri anche dal primo luglio e fino alla fine dell’anno, ha fatto sapere a sera una nota di Palazzo Chigi che annunciava di fatto il disco verde.

Lo scontro sulle semplificazioni

Ma la complessità maggiore della politica di governo, si perdoni il gioco di parole, ha investito soprattutto il decreto semplificazioni. Decreto che appunto al di là delle parole è un provvedimento monstre inclusivo di assunzioni nella pubblica amministrazione, semplificazioni in materia di edilizia, rigenerazione urbana e procedure ambientali, con liti interne tra ministri e soprattutto lo scontro sul codice degli appalti tra un centrodestra nostalgico della legge Obiettivo e un centrosinistra e i sindacati critici verso il ritorno del criterio del massimo ribasso, che pure rischia di avvantaggiare solo le grandi imprese.

Il calendario all’orizzonte

E l’elenco di tutte le cose da fare non finisce certo a maggio. La semplificazione in materia di investimenti e interventi nel mezzogiorno deve essere approvata entro giugno. C’è tutto il capitolo della riforma della giustizia da avviare. E sempre entro giugno dovrebbe essere presentato il disegno di legge delega per cancellare le norme che alimentano la corruzione, un corollario fondamentale, assieme al rafforzamento dell’Anac perché le nuove norme sugli appalti non si traducano in un vantaggio per le organizzazioni criminali. A luglio poi ci sono altri due dossier spinosissimi: la legge per la concorrenza e la legge delega sulla riforma fiscale. «Accidenti, quante cose», per citare Draghi.

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