Cinque anni in uno, diceva Alessandro Baricco parlando dell’incredibile salto in avanti che – per forza – dover affrontare la pandemia ci ha fatto a fare: «Per me è diventato un esercizio molto pratico, utile a capire come mai, nonostante le apparenze, non c’è più niente che funziona come prima, e il prima non esiste più. (…) Provate a fare questo ragionamento: se non ci fosse stata alcuna pandemia, e fossimo semplicemente andati avanti per la nostra strada, come più o meno pensavamo di fare, dove saremmo arrivati nel 2025? Ho la risposta: nel punto in cui siete adesso». Un punto da cui pensavamo non saremmo mai tornati indietro.

La settimana scorsa parlavamo – ancora, e lo faremo tutti a lungo – di smart working. E sempre dal mio osservatorio privilegiato in questa città utilitaristica che è Milano posso dirvi che non è facile neppure qui. È tornato il traffico. In provincia non sto neppure a dirvelo. «Non trovo il senso di una formula che mi permetta di lavorare due giorni a casa e tre in ufficio, ma ci vogliono là. Ci vado, se serve, ma se devo stare dietro ad una scrivania a fare le stesse cose con più distrazioni che senso ha? Da casa lavoro meglio e faccio spendere meno all'azienda. Io che non sono tornato in ufficio vengo visto come quello che non fa niente da casa, ma ormai io non riuscirei mai a tornare al lavoro in presenza, non torno indietro: se mi obbligano mi licenzio».

Non so da quale città arrivi questa lettera, ma ogni città è paese di questi tempi, è chiaro. 

Il sentimento che ispira questa progettualità verso la fuga pare essere tanto diffusa che in America si parla di Great Resignation. Succederà davvero anche qui? 

«In Italia teniamo famiglia e mutuo, perciò non è così semplice. Da noi è proprio il posto che ha la qualifica stabile: è fisso. Posto fisso, secondo tradizione, è il migliore. Lo sognavo i tuoi genitori per te. Fisso è perché non te lo leva nessuno. Chi lo lascia, il posto fisso? Solo i forestieri americani», scriveva Ester Viola su F qualche settimana fa. Chissà se è vero.

Sì, i dati che abbiamo sono tutti di sondaggi e proiezioni fatti all’estero. Un osservatorio privilegiato anche quello. Un’anticipazione di quello che potrebbe succedere anche da noi. Un’altra anticipazione: hai già sentito usare il termine YOLO? È l'acronimo di you only live once, si vive una volta sola. No, non vale solo per il lavoro.

Torniamo in ufficio

Lasciarsi non è mai una scelta bilaterale. Magari anche tu te la sei raccontata così, a volte. Arriva un momento in cui uno dei due smette di provare quell’entusiasmo che ci lega anche alle cose più sciocche, e magari prende una decisione. A volte non la prende neppure, procrastina oppure fa qualcosa per cambiare la situazione partecipando attivamente agli eventi, influenzandoli.

A volte non è così semplice, a volte è proprio difficile. Altre volte con tutta la buona volontà e ogni tipo di sforzo, cambiare le cose è impossibile. Il risultato è in una direzione o nell’altra, perché non esistono vie di mezzo. Chi ha lasciato chi è una questione che dopo l’adolescenza neppure mi porrei.

Dunque, cosa succede quando non è una storia d’amore che sta per finire? Si prova insofferenza, malessere e indifferenza. Succede in tutti gli innamoramenti e vale così anche per il lavoro. Lascio il lavoro, quel lavoro, quell’ufficio, quel capo, visto che spesso lasciamo i nostri capi, come già detto, e non un ruolo (che andremo a ricoprire altrove) o l’azienda, che come entità astratta non esiste.

A volte basta cambiare capo per accorgersi che l’azienda non è gestita tutta allo stesso modo, perché magari certi aspetti, che venivano imputati alla società, in verità erano da ricondurre solo alla cattiva gestione del capo. E visto che non tutti gestiscono lavoro e team allo stesso modo, ecco magicamente tornare l’entusiasmo. Non sempre però è possibile cambiare posizione in azienda. Quindi, come capire che è il tempo di cambiare lavoro? O che è arrivata l’ora di provarci davvero? Romanticamente direi quando la soddisfazione che si prova nello svolgere quel lavoro non c’è più. E questo può succedere sia perché appunto non ci si capisce più col capo, o non ci si è mai capiti ma ora non ce la facciamo proprio più, sia perché il lavoro è diventato troppo, impossibile da gestire nelle ore a disposizione.

Anche vedersi passare avanti chiunque, con un «prima o poi toccherà a te», non aiuta a sentirsi apprezzati, certo. A volte ti capitano una, o anche due voci di questa lista. A volte tutto insieme. Quello è il momento di andare via. È ora di lasciarsi.    

E da te in ufficio come va? Hai visto, come me, gente decidere di andar via?

Ognuno di noi ha una storia da raccontare, non solo legata a uffici che magari abbiamo avuto in comune, o a situazioni lavorative nuove.
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Ogni lunedì? inizieremo insieme la settimana. Mi siedo accanto alla tua scrivania. Chiacchieriamo un po’. Vediamo cosa c’è da fare. Insieme.
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A lunedì.

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