Il governo italiano vuole creare una società unica della rete per portare la connessione internet a banda larga, che permette la trasmissione veloce dei dati, in tutto il territorio nazionale. 

L’unicum italiano

Nel 2010, l’Unione europea prevedeva, entro il 2020 la connessione a banda larga veloce, pari o superiore a 30 megabyte, per tutti e la connessione a banda larga ultraveloce – 100 megabyte al secondo – per il 50 per cento degli utenti domestici. L’Italia però si è trovata in una situazione particolare: Tim l’ex società telefonica pubblica è stata privatizzata senza scorporare la rete in rame e a debito e questo ha portato a un ritardo negli investimenti nella fibra ottica e nel piano banda larga, soprattutto nelle aree a fallimento di mercato, cioè dove non c’era un ritorno degli investimenti, aree dove abita il 40 per cento degli italiani. 

La società Open Fiber, nata nel 2015 per volontà del governo Renzi, è in ritardo di tre anni sul completamento del piano e non porta la connessione alle abitazioni, ma all’edificio. Tim ha continuato a opporsi allo scorporo della rete e ha ostacolato Open Fiber, finendo multata dall’Antitrust italiana. Per trovare una soluzione il governo ha scelto il ritorno al monopolio, ma finora aveva lasciato il controllo in mano a Tim.

Le parole di Vestager

Ieri la commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, rispondendo alle domande dei giornalisti ha detto: «Si può supporre di avere un unico venditore a livello nazionale. È possibile, senza dubbio», ma la valutazione importante è se questo grossista sarà «indipendente oppure se avrà dei vincoli verticali rispetto ai venditori al dettaglio». È difficile che Tim possa mantenere il controllo della società della rete unica come previsto finora.

Il 31 agosto Cassa depositi e prestiti e Tim hanno firmato una lettera di intenti per la creazione di una nuova società chiamata AccessCo, che dovrebbe incorporare la rete di Tim e quella di Open Fiber. Cdp promette che la autonomia della società sarà garantita da un «innovativo sistema di governance, oltre che dal regime regolatorio che sarà definito dalle autorità competenti e che ne assicurerà la terzietà sotto i profili della parità di accesso, delle decisioni di investimento, degli effetti pro concorrenziali e della elevata qualità degli standard di servizio».

La lettera di intenti prevede però che il controllo societario sia in capo a Tim con il 50,1 per cento, e che l’ex monopolista nomini anche l’amministratore delegato.

Il 17 settembre Bloomberg ha scritto che la direzione generale Concorrenza dell’Unione europea era pronta a bocciare il progetto italiano e ha provocato il crollo delle azioni di Tim in Borsa. Mentre ieri Vestager ha avuto un incontro in videoconferenza con l’amministratrice delegata di Open Fiber Elisabetta Ripa e il presidente Franco Bassanini, da sempre schierato contro le resistenze di Tim allo scorporo della rete e che però è anche consigliere del ministro Roberto Gualtieri.

Il management della società telefonica rischia quindi di cedere il controllo di AccessCo, ma è difficile che si tiri indietro dal progetto. Attorno all’ipotesi del ritorno al monopolio e soprattutto intorno ai fondi in arrivo del Recovery fund per il piano banda larga si stanno infatti siglando grandi intese finanziarie, da cui dipendono non solo i bilanci futuri, ma anche gli andamenti dei titoli delle società in Borsa.

Tim ha accettato l’offerta del fondo di investimento americano Kkr, che ha come consulente l’ex commissario dell’agenda digitale Diego Piacentini, per l’acquisto del 37,5 per cento della sua rete secondaria, quella che va dall’armadietto alle case, al prezzo di 1,8 miliardi di euro e che dovrebbe essere conferita allla nuova società FiberCop. Dall’altra parte Enel per la sua partecipazione in Open Fiber ha ricevuto il 16 settembre una offerta del fondo australiano Macquarie pari a 2,65 miliardi di euro. Il comunicato diffuso da Enel il 17 settembre spiega che l’offerta potrebbe subire aggiustamenti. La società elettrica si è data un mese per decidere. Gli aggiustamenti potrebbero essere l’aumento della quota di Cassa depositi e prestiti in Open Fiber fino al 65 per cento, cioè la quota pari a quella che Tim ha allo stato attuale degli accordi nella futura Fibercop. Se le cifre fossero confermate la possibile partecipazione di Tiscali, che pure nel giorno dell’accordo con Tim ha guadagnato in Borsa il 168 per cento, sarebbe molto ridotta.

Chi ci guadagna

Il primo accordo aiuta Tim ad aumentare la sua redditività garantendo a Kkr un ritorno di 160 milioni di euro l’anno. L’intesa prevede inoltre una riduzione degli investimenti a partire dal 2025. Tim inoltre dovrebbe cedere a Fibercop anche altri asset compresa parte del suo debito da 26 miliardi di euro. «Prima della fusione, è previsto che Tim conferisca in FiberCop un ulteriore ramo d’azienda che consiste nella rete primaria funzionale alle attività operative di FiberCop», si legge nel comunicato di Cdp. Questo significa che Fibercop non sarà semplicemente l’azienda da cento dipendenti descritta oggi nei comunicati con un indebitamento netto di tre miliardi.

Il secondo accordo permetterebbe a Enel di uscire dall’avventura di Open Fiber in cui l’amministratore delegato Francesco Starace è entrato sotto spinta del governo con una plusvalenza miliardaria. Open Fiber ha un indebitamento attorno ai 2 miliardi di euro, mentre il suo patrimonio è valutato nel bilancio di Enel 432 milioni di euro

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