È stata la giornata di Giancarlo Giorgetti, ministro centrale del governo Draghi, non solo o non tanto per il ruolo al ministero dello Sviluppo economico, quanto e soprattutto per gli assetti politici della nuova maggioranza. Impegnato nelle audizioni sul piano di ripresa e resilienza ma anche a rispondere su Alitalia alla commissione trasporti della Camera, Giorgetti ha avuto il pregio di parlare più chiaro di molti suoi colleghi e ha parlato a molti. Ai partiti prima di tutto, ma anche a Bruxelles, di cui Giorgetti si pone come interlocutore.

Discontinuità

Il messaggio più chiaro è stato quello su Alitalia. Martedì mattina il ministro ha infatti incontrato virtualmente la commissaria alla concorrenza Ue Margrethe Vestager per discutere dell’ennesima situazione di stallo attorno alla compagnia di bandiera e al progetto della nuova società ITA che doveva partire ad aprile e invece, secondo quanto spiegato da Giorgetti, ora potrebbe farlo per giugno-luglio. Chi lo ha sentito dopo il vertice dice che il ministro era convinto di dover dare un segnale, una volta per tutte, su quel dossier, su cui per dodici volte, dodici, la Commissione europea ha aperto inchieste e su cui finora ha approvato qualsiasi iniziativa presentata, a partire dal malaugurato “progetto Fenice”. Anche allora, era il 2008 gli aiuti pubblici erano giustificati da una supposta discontinuità aziendale che in quel caso si traduceva nel salvataggio dell’AirOne di Toto.

Tredici anni dopo, Giorgetti ha ripetuto le condizioni minime che secondo la normativa europea – e la logica – ci dovrebbero essere: «Sostenibilità economica, discontinuità aziendale e orientamento al mercato». Condizioni, però, su cui i margini di negoziazione, considerato l’ennesimo fallimento del rilancio della compagnia, si sono fatti sempre più stretti. E che non sarebbero rispettate dal piano licenziato dal consiglio di amministrazione di ITA. «Noi stiamo negoziando duro», ha spiegato Giorgetti, ma se è troppo pesante, la società non vola. Detto altrimenti: ITA non può essere Alitalia con un altro nome e un perimetro simile. Il ministro ha spiegato che ci saranno «costi sociali», cioè esuberi, e che di questo si occuperà insieme al ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Ha confermato che arriveranno i 55 milioni di euro di ristori per il Covid, e anche altri tre miliardi di investimento pubblico. Ma ha anche specificato che per i servizi di manutenzione e di handling, cioè l’assistenza a terra per aerei e passeggeri, si faranno con tutta probabilità le tanto temute “gare aperte”.

La società avrà bisogno di una «alleanza strategica», ha detto Giorgetti, e una prima alleanza, in attesa di capire le intenzioni di Lufthansa, sarà quella con il gruppo delle Ferrovie dello stato, attore che deve ancora conoscere la liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario. Tutto prevedibile, almeno nelle dichiarazioni che pure devono ancora passare alla prova dei fatti, eppure in Italia le parole di Giorgetti vincolate agli impegni presi con la direzione alla concorrenza, sono state accolte quasi con sorpresa. Anche più delle dichiarazioni che potrebbero segnare una più netta discontinuità con il governo precedente, quelle sulla rete unica. A proposito Giorgetti ha detto: «Non so se il progetto sia giusto o sbagliato, o meglio questo governo sta facendo una riflessione». Il punto, ha detto Giorgetti, sono soprattutto i tempi: «Se soltanto la costituzione della società implica 18 mesi, se tutti fanno – legittimamente – investimenti per massimizzare la propria posizione, noi creiamo situazione di sovrapposizione e dispersione delle risorse». Un modo sottile per dire che il governo ha ben chiaro che, come abbiamo scritto varie volte su Domani, sul progetto si è innestata una grande operazione finanziaria. Il ministro aggiunge la postilla: se i capitali privati ci sono non serve aggiungere risorse pubbliche.

Controllo pubblico

Giorgetti ha comunque promesso di chiarire presto le intenzioni del governo, anche perché l’intesa sottoscritta con Tim prevedeva la fusione tra Fibercop e OpenFiber entro la fine di marzo e intanto Cassa depositi e prestiti è azionista di due società al momento concorrenti. Di una cosa Giorgetti è certo: la rete unica in caso dovrà essere «a controllo pubblico». Ma non è chiaro se questo voglia dire accontentarsi dell’accordo sulla governance raggiunto finora.

Di certo, il leghista ha lanciato molti messaggi in direzione della Cassa depositi e prestiti, protagonista di quella intesa, ma in generale importante vettore di sviluppo in vista del piano di ripresa: «Faccio fatica a stare dietro a tutte le forme di intervento di Cdp e Invitalia», ha detto spiegando che servirà più coordinamento per evitare le sovrapposizioni, eppure proprio oggi il ministro vedrà Cdp e Invitalia sedersi insieme al primo tavolo di governo sulla crisi dell’ex Ilva.

 

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