L’Europa dovrebbe promuovere la crescita delle imprese con fusioni e acquisizioni transfrontaliere. Il governo Meloni fa l’opposto. Meloni benedice il blitz: «Decide il mercato». Ma l’operazione del Tesoro aiuta la scalata occulta di Caltagirone-Delfin a Generali
Schiacciata tra i grandi gruppi tecnologici americani, l’imperialismo economico cinese e quello militare di Putin, l’Europa va incontro a una crisi esiziale, come ha chiaramente ammonito Mario Draghi. Una crisi da affrontare promuovendo la crescita delle imprese tramite fusioni e acquisizioni transfrontaliere, a partire dai settori troppo frammentati come quello bancario, e creando un grande mercato unico dei capitali.
Il governo Meloni sta facendo esattamente l’opposto. Ha invocato il golden power per fermare l’Opa di UniCredit su Bpm anche se l’offerta è tra due banche italiane quotate: offrendo però in questo modo al governo tedesco una ragione in più per osteggiare l’acquisto di Commerzbank sempre da parte di UniCredit. Il governo è intervenuto perché l’Opa di UniCredit intralciava il suo progetto di creare attorno a Mps, dove detiene l’11 per cento, un “polo bancario” a capitale misto pubblico-privato su cui potesse continuare a esercitare la sua influenza. Così, dopo aver profuso miliardi di fondi pubblici per salvare la banca senese, invece di uscirne definitivamente, ha infatti orchestrato, o perlomeno favorito, l’ingresso in Mps di Bpm, Anima, e del duo Caltagirone e Delfin (di seguito “CD”): assieme hanno il 36 per cento.
MediobancaNon è la prima volta che CD agiscono all’unisono poiché assieme detengono il 25 per cento di Mediobanca, su cui vorrebbero esercitare il controllo se non fosse che la Bce non vuole soci industriali alla guida di banche, nonché il 16 per cento di Generali di cui vogliono il controllo, sottraendolo alla stessa Mediobanca.
Gli intrecci
Gli intrecci non finiscono qui perché Caltagirone con Poste, controllata dal Tesoro attraverso Cassa Depositi e Prestiti, posseggono il 16 per cento di Anima, e appoggiano l’Opa di Bpm su quest’ultima. Col decreto Capitali questo governo ha poi emanato una norma che sovverte la governance delle società quotate, in contrasto con le migliori pratiche internazionali, al solo apparente scopo di facilitare la scalata di CD a Generali.
Una norma oltremodo macchinosa (la Consob deve ancora spiegare come metterla in pratica) e per questo criticata dalla totalità degli investitori esteri. Inoltre, il Messaggero, il quotidiano di Caltagirone, ha recentemente bocciato la prospettata joint venture nell’asset management tra Generali e la francese Natixis che, a prescindere dai meriti dell’operazione, renderebbe più ostica la scalata alla compagnia da parte del suo editore, dimenticandosi però di segnalare ai suoi lettori il conflitto di interessi.
Quanto basta per immaginare che l’operazione del Tesoro attorno Mps non avesse solo lo scopo di creare il terzo “polo bancario” nazionale, ma fosse anche strumentale all’obiettivo di CD di raggiungere il controllo di Generali. L’Opa di Unicredit su Bpm ha dunque intralciato i piani di CD e del Governo. Che così hanno sparigliato facendo lanciare a Mps un’Ops ostile su Mediobanca con l’obiettivo dichiarato di creare un terzo “campione nazionale” in ambito bancario (anche se ne abbiamo già due).
È la peggio concepita e incomprensibile scalata mai vista, se non si considerasse che il vero obiettivo è il sostegno a CD nel loro tentativo di conquistare Generali. Sulla carta l’Ops di Mps ha infatti poca logica economica. Non si è mai visto che una società che vale 70 per cento del patrimonio (pre Ops) scali una che ne vale 120 con un’offerta interamente in azioni: per i soci di Mps, e quindi anche per il Tesoro, significa infatti subire una perdita dovendo pagare con “moneta” svalutata l’acquisto di una “cara”.
Per questa ragione avviene sempre il contrario, anche perché chi compera una banca che vale meno del patrimonio può beneficiare del “badwill” (la differenza tra valore di mercato e patrimonio) che può essere portato a incremento del capitale: è quello che ha fatto Intesa con l’Opa su Ubi traendone grande profitto.
Stando ai prezzi di chiusura di Borsa, l’Ops ha creato nel solo primo giorno un trasferimento di valore dai soci Mps a quelli di Mediobanca complessivamente di 1.600 miliardi: 580 milioni in meno per quelli di Mps, e un miliardo in più per quelli di Mediobanca. Ovvero una perdita potenziale di 68 milioni per il Tesoro in un solo giorno, ma un guadagno di ben 173 per CD, poiché sono sì soci di Mps, col 15 per cento, ma hanno anche il 29 di Mediobanca: un bel regalo a spese del contribuente; a cui si aggiungono i 2,9 miliardi di Deferred Tax Assets, ovvero le minori imposte future che lo Stato incasserà, con cui Mps vuole finanziare l’Ops.
Le ragioni per cui Mps è valutata a forte sconto su Mediobanca sono facili da capire: è più piccola (pre Ops, 9 miliardi contro 13), ha una minore redditività attesa sul capitale tangibile (10 contro 13,5), un margine di interesse più basso (1,9 contro 2,7), un costo del debito più elevato (133 punti il Cds a 5 anni contro 53), una maggiore esposizione al rischio di credito in Italia (78 miliardi contro 54) e un rapporto prezzo/utili a sconto del 20 per cento. Metà delle sinergie da fusione che Mps dichiara derivano da incrementi di ricavi, molto aleatori, mentre ci vorranno due anni di sinergie da minori costi per recuperare i 600 milioni di costi da integrazione.
La scalata occulta
Un’Ops che però diventa comprensibile se si considera il valore per CD della scalata occulta a Generali. Mediobanca è sempre stata criticata da CD per non essere stata capace di sviluppare l’investment banking all’estero, mentre l’Opa la trasformerebbe in una tradizionale banca commerciale focalizzata sulla raccolta dei depositi, la distribuzione di prodotti finanziari e l’erogazione dei prestiti tramite una rete radicata sul territorio nazionale: evidentemente era una critica pretestuosa.
Con l’Ops, CD acquisirebbero di fatto il controllo sulla gestione di Mediobanca, con il 29 per cento del nuovo gruppo assieme al Tesoro e Bpm, aggirando in questo modo il divieto della Bce alla presenza di imprenditori alla guida di banche; e con il 12 per cento di Mediobanca in Generali, assieme al loro 16, arriverebbero a comandare anche nel gruppo assicurativo.
Lo Stato, non contento dello sterminato numero di partecipazioni in società quotate, avrebbe anche il 5 per cento del nuovo gruppo bancario, potendo così rientrare in un settore da cui l’Europa l’aveva fatto uscire. In tutto questo la Consob tace. Evidentemente non ravvede alcuna azione di concerto di CD, né ritiene utile alla trasparenza chiedere ad Anima, in quanto Sgr che deve tutelare esclusivamente gli interessi dei risparmiatori, ma lei stessa, assieme ai suoi soci di controllo, è parte in causa in due Opa diverse, di rendere noto quante azioni detiene di tutti gli attori coinvolti nelle tre offerte in corso ed eventuali movimentazioni (umanamente, non vorrei trovarmi nei panni dei suoi gestori).
Non so dire se una Ops così mal congegnata possa avere successo, anche se c’è un prezzo per tutto; o se nei machiavellici piani di governo e CD è previsto qualche altro colpo di scena. Ma poco importa, perché il danno è ormai è fatto.
Dopo gli investimenti pubblici e l’interventismo nelle telecomunicazioni per la creazione della futuribile società della rete, il governo dimostra di voler espandere ulteriormente la partecipazione dello Stato nel capitale delle imprese e giocare un ruolo attivo nel mercato dei capitali: un nazionalismo economico e un interventismo dello Stato che porterebbe ad avere il controllo nazionale misto pubblico-privato di due delle poche grandi società quotate italiane a capitale diffuso tra gli investitori istituzionali esteri, perdendo credibilità sui mercati internazionali.
Avremmo un mercato dei capitali sempre più a carattere nazionale, dove cresce l’interferenza dello Stato, quindi più asfittico perché segmentato dal resto d’Europa. E un ritorno delle regole opache, con un pericoloso intreccio tra interessi pubblici e privati, dove Palazzo Chigi diventa la nuova banca di investimento di riferimento per il paese. Un altro piccolo passo verso la crisi esiziale dell’Europa.
© Riproduzione riservata