L’altro giorno pensavo a una certa definizione di “povertà”, ma per arrivare a capire cosa intendo devo prima raccontare un classico dell’infanzia. Vi sarà capitato: siete bambini, la vostra scuola organizza una gara di corsa. Alcuni vincono, e sono degli idoli, gli altri perdono, ma la maestra alla fine non manca di dire la frase magica: «L’importante non è vincere, ma partecipare».

La frase è attribuita a Pierre de Coubertin, il fondatore dei Giochi olimpici moderni. Ma in realtà è un complesso di rimandi, de Coubertin citava un altro che a sua volta citava un altro... Non importa. Sia come sia queste parole sono qui con noi oggi, e ogni maestra le ripete appena può. Sono parole, senza dubbio, misteriose. Vuol dire che anche se perdo va bene lo stesso, perché ho giocato e mi son divertito? Vuol dire invece che se non partecipo non avrò mai la possibilità di vincere, e dunque è un’esortazione a darsi da fare? Una cosa è certa: al centro della frase siede il concetto di partecipazione.

Contesto e dimensione psicologica

Veniamo alla definizione di povertà di cui parlavo. Ne esistono moltissime, naturalmente. La definizione che mi interessa oggi non è tecnica, ma esistenziale: «La povertà è non avere abbastanza soldi per partecipare alla società in cui ti trovi».

È interessante perché lega la povertà al contesto e alla dimensione psicologica. Come di sicuro sapete esistono molti studi qualitativi sulla povertà: si chiede alle persone se ritengono di essere povere, si chiede quali sono i beni e i servizi minimi senza i quali ci si sente poveri. In una società avanzata, oggi, una persona normalmente non si sente povera se non ha problemi a fare la spesa alimentare, a pagare le bollette, a comprarsi i vestiti necessari, a pagarsi i trasporti o la benzina.

A queste necessità di base aggiungerà il bisogno di un telefonino, la possibilità di comprare un regalo alle persone care in caso di ricorrenze, la possibilità di uscire a mangiare una pizza qualche volta all’anno. Possiamo discutere fino a domani su cosa sia realmente necessario e su cosa sia superfluo, ma il punto è che la soglia della povertà, da un punto di vista esistenziale, è definita dall’accesso a dei beni minimi che permettono di prender parte alla società in cui ti trovi, perlomeno alle sue abitudini più semplici e diffuse.

Barriere all’ingresso

Ogni società, in quest’ottica, ha delle barriere all’ingresso, una muraglia per superare la quale devi avere delle dotazioni economiche di base che non ti facciano sentire vergognosamente escluso. Una volta che hai queste dotazioni, puoi entrare e partecipare. Quando siamo alle elementari e la maestra ci dice che l’importante non è vincere, ma partecipare, magari pensiamo che si tratti di una frase di circostanza, ma nessuno mette mai in dubbio il fatto di avere la possibilità di prender parte ai giochi. La povertà, invece, inizia proprio oltre i confini della frase di de Coubertin: neanche partecipi!

Conosciamo tutti almeno una persona anziana che una volta ha detto «a quel tempo non avevamo niente, ma non ci sentivamo poveri». È un concetto che assume un senso all’interno di comunità chiuse e omogenee, come possono essere certi frammenti di società contadina, al tempo in cui si viveva tutti più o meno allo stesso modo, e dunque, anche se poveri, non si avvertiva continuamente il dolore che oggi invece deriva dal confronto ininterrotto con la ricchezza.

Lo spettacolo dei ricchi

Oggi i ricchi sono uno spettacolo sempre in onda, è un mondo di gente da esposizione, e le persone vogliono vedere questo spettacolo, eccome, e per vederlo sono disposte a calpestare il senno e la dignità. Si parla spesso e volentieri di soldi: “Con quanti soldi ti sentiresti ricco?” è una domanda classica che trovi sui social. Per questo penso sia interessante, invece, riflettere sul concetto di povertà. Per questo ne parlo. Non perché io sia buona, ma perché sono infastidita: c’è qualcosa di stupido nell’incapacità umana di occuparsi della povertà. Una stupidità tenace porta le persone a imbambolarsi di fronte alle immagini di prosperità (i soldi che non hanno e che mai avranno).

Non solo. Le persone evitano di criticare alcunché perché temono più di ogni altra cosa che un atteggiamento negativo nei confronti della ricchezza “riveli” la loro povertà: “Sei invidioso!” Un meccanismo potente. Nel frattempo i poveri sono esclusi, silenziati e silenziosi. E i ricchi beneficiano più che mai del contrario dell’esclusione, ossia dell’accesso: il denaro fornisce una serie di accessi privilegiati (alle esperienze, alle persone, alla stessa moltiplicazione del denaro). Funziona tutto perfettamente, no?

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