Alcune settimane fa il tribunale di Milano ha obbligato Cloudflare, società americana di content delivery network e provider di servizi hosting, a sospendere la fornitura dei suoi servizi verso le piattaforme di Iptv illegali che trasmettevano il campionato di calcio in streaming senza autorizzazione. Il provvedimento si somma a una serie di pronunciamenti simili, che vanno tutti nella stessa direzione: aumentare oneri e responsabilità per i provider di servizi digitali. Ma questo provvedimento è unico nel suo genere. Federico Bagnoli Rossi, il presidente di Fapav, la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali, ha detto che «grazie a questo pronunciamento non sarà più importante il ruolo che si possa o meno aver avuto all’interno di una frode, perché il solo fatto di farne parte comporterà una responsabilità nell’illecito».

Inoltre si tratta di una particolare ingiunzione che viene definita come “dinamica”, «in quanto implica la cessazione della fornitura di tutti i servizi prestati a favore delle Iptv illegali, indipendentemente dal nome del dominio utilizzato o dal numero di indirizzo Ip» ha spiegato l’avvocato che ha seguito la causa, Alessandro La Rosa. Il che significa che il giudice non ha semplicemente bloccato l’ip, che può essere facilmente cambiato, quanto piuttosto l’accesso stesso. Inoltre prima era necessario un’ordinanza per ogni violazione, invece ora quella dinamica vale anche per i casi successivi e più in generale ogni volta che un utente, già segnalato per aver creato un sito di streaming illegale, cerchi di saltare i controlli e accedere nuovamente alla piattaforma. Le norme che regolano gli Internet service provider sono contenute in una direttiva del parlamento europeo (la 200/31/Ce), e fanno riferimento specificatamente al tema dell’e-commerce.

Esenzioni di responsabilità

La normativa italiana, recepita quella europea, prevede a sua volta una serie di qualifiche di quelli che sono i provider. In particolare si differenza tra chi riceve e trasmette dei dati, chi li memorizza solo temporaneamente e chi invece lo fa per un periodo più lungo, gli hosting appunto. A fronte di queste qualificazioni ci sono delle esenzioni di responsabilità.

«Il provider non ha l’obbligo di controllare e rimuovere i contenuti, se non a fronte di un provvedimento dell’autorità» spiegano gli avvocati Niccolò Lasorsa Borgomaneri e Marco Signorelli. È innegabile che questo sistema di responsabilità limitata abbia favorito per anni provider come Cloudflare.

Il sistema della pirateria digitale al giorno d’oggi si basa sul cosiddetto Content delivery network. Ovvero una rete di server, collegati tra loro e utilizzati per distribuire sul web contenuti multimediali. Una sorta di rete nella rete che ha lo scopo di migliorarne la fruizione, insomma un sistema perfetto per lo streaming.

Secondo l’attuale legge, i provider hanno una responsabilità limitata, perché non sono responsabili dei contenuti degli utenti. «Tuttavia il Tribunale non ha riconosciuto Cloudflare come un vero e proprio provider, perché si occupa principalmente di content delivery network. Ed essendo questo un soggetto giuridico relativamente nuovo, non lo ha valutato sulla base dell’esenzione di responsabilità prevista dalla direttiva europea sull’e-commerce» spiegano Borgomaneri e Signorelli. In pratica, non riconoscendolo come un provider, permette alla legge di attuare tutte le norme previste dal panorama civile, come la concorrenza sleale e la violazione della proprietà intellettuale, e non solo la direttiva sull’e-commerce.

Quindi non importa più come un soggetto che offre servizi internet venga o meno qualificato, quanto piuttosto quale ruolo abbia avuto in concreto nell'atto illecito. In questo senso quando la serie A ha chiesto al Tribunale di impedire ai diversi Content delivery network l’accesso alle partite in streaming, Cloudflare non ha potuto difendersi argomentando che non è illegale memorizzare o addirittura memorizzare temporaneamente dei contenuti, anche se si possono rivelare illeciti. Al momento Cloudflare, che ha sede legale negli Stati Uniti, non ha ancora replicato.

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