Il premier Giuseppe Conte l’ha definita un «obiettivo politico» di lungo periodo. Eppure il progetto della rete unica su cui stanno fioccando accordi finanziari accompagnati da fior di consulenze e scommesse su ritorno degli investimenti non è stato finora accompagnato né da un confronto con il settore, né da dibattito politico. A gennaio le cose potrebbero cambiare perché le pressioni sul governo per discutere del progetto stanno aumentando su entrambi i fronti, e vengono anche dall’interno della stessa maggioranza.

L’occasione potrebbe arrivare presto: tra il 15 e il 23 dicembre il sottosegretario allo sviluppo economico, Gian Paolo Manzella, ha incontrato le aziende che si occupano della fibra, l’autorità antitrust e si appresta a incontrare l’Agcom per discutere di banda larga. «Ci siamo impegnati con il parlamento a una discussione generale sulle telecomunicazioni», spiega il sottosegretario molto vicino al leader del Partito democratico, Nicola Zingaretti, «La prima settimana di gennaio presenterò al ministro un rapporto sulle consultazioni, poi siamo pronti alla via della parlamentarizzazione della discussione generale sulle telecomunicazioni».

La grande fusione

Il progetto della rete unica nasce sotto la regia del ministero dell’Economia e di Cassa depositi e prestiti ed è stato delineato da una lettera di intenti firmata questa estate tra Cdp e Tim. L’intesa prevede la creazione di una società, AccessCo, che dovrebbe mettere insieme parte della rete di Tim, l’ex monopolista che ha ancora la rete in rame e la rete di Open Fiber, la società partecipata a metà da Enel e Cdp Equity che ha vinto le gare della società del Mise, Infratel, per connettere con la fibra le aree a fallimento di mercato ma è in ritardo sul programma di tre anni.

La lettera di intenti tra Cdp e Tim è stata firmata il 31 agosto scorso, nello stesso giorno in cui Tim annunciava l’accordo con il fondo Kkr e con Fastweb e una intesa con Tiscali per la nascita di Fibercop. L’obiettivo di Fibercop è di estendere la rete secondaria, quella dall’armadietto alle case, fino a connettere con la fibra ottica il 76 per cento delle aree grigie e nere, quelle in cui si sono investitori concorrenti. La società dovrebbe diventare operativa entro marzo 2021. la stessa scadenza «entro e non oltre» la quale dovrebbe essere presa la decisione sulla fusione con Open Fiber. 

Fibercop è stata costituita a novembre è stata costituita: Tim ne avrà il 58 per cento, il fondo americano Kkr che opererà tramite una società lussemburghese, Teemo, gestita da una società di gestione del fondo incardinata alle Cayman, come si legge nei documenti dell’Antitrust, ne controllerà il 37,5 per cento. In più Kkr ha anche coinvolto nell’operazione il fondo sovrano di Abu Dabhi che, se ottenesse il via libera del governo italiano, potrebbe avere il’11 per cento del veicolo che controllerà la partecipazione. Un altro 4,5 per cento andrà a Fastweb.

Sul fronte di Open Fiber, invece, Francesco Starace, l’amministratore delegato di Enel, ha resistito per mesi all’ operazione: dopo che il governo Renzi gli aveva di fatto imposto la nascita della società della fibra, il governo di Conte tramite il ministro dell’Economia ora gli faceva pressione per la sua vendita. La vicenda si è sbloccata solo il 17 dicembre: il consiglio di amministrazione di Enel ha deciso di vendere dal 40 al 50 per cento di Open Fiber al fondo australiano Macquarie. Il prezzo pagato da Macquarie - 2,65 miliardi per metà della società – è pari a oltre sei volte il valore del patrimonio di Open Fiber messo a bilancio di Enel. E potrebbe anche salire nel caso che la rete unica vada in porto. Enel ha imposto i suoi tempi e guadagnerebbe anche di di più in caso di ritardo: l’offerta finale prevede infatti che «qualora il closing dell’operazione sia successivo al 30 giugno 2021», il prezzo da pagare aumenti a partire dal primo luglio del nove per cento annuo.

Intanto ci hanno guadagnato gli advisor da una parte e dall’altra: per Kkr c’era Claudio Costamagna, in conflitto d’interesse visto che l’ ex presidente di Cdp è attualmente azionista di Tiscali tramite Amsicora, e poi Diego Piacentini, l’uomo del team digitale del governo Renzi. Mentre  per Macquarie c’era l’ex ad di Enel e ex presidente di Tim Fulvio Conti ma anche Tommaso Pompei che ha di fatto lanciato OpenFiber dopo aver amministrato Wind e Tiscali. Ci guadagna Enel con una generosissima plusvalenza. Ci guadagna Tiscali che è pronta ad abbandonare il modello di business della produzione di servizi sulla rete per appoggiarsi a Fibercop . E ci guadagna Tim che, se la rete unica andrà in porto così come concordata con Cdp, ne otterrebbe la quota di controllo, il 50,1 per cento, seppure la lettera di intenti assicura «un sistema di governance condivisa dovrebbe garantirne indipendenza e  terzietà».

Le critiche dell’Antitrust

Il calendario è fitto: entro fine gennaio la Cassa depositi e prestiti può decidere se esercitare il diritto di prelazione sulle costose quote di Open Fiber. Poi bisognerebbe avviare la valutazione degli asset di Open fiber e di Fibercop che era prevista entro la fine dell’anno. Ma ci sono molti ma. Il più grosso arriva dall’Antitrust: il 22 dicembre ha annunciato l’apertura di una istruttoria su Fibercop con l’obiettivo di verificare gli accordi alla base della nuova società «non creino ostacoli alla concorrenza» e assicurino «il rapido ammodernamento delle infrastrutture di telecomunicazione fissa del Paese». Per ora analizzando il complesso sistema di contratti alla base di Fibercop l’Antitrust rileva diversi possibili problemi. Tiscali è pronta a diventare un mero acquirente di servizi, Fastweb «non manterrà alcun controllo sulle scelte di FiberCop, ma passerà da un modello di operatore indipendente infrastrutturato a un modello di mero acquirente di fibra ottica passiva e attiva da FiberCop e TIM wholesale».

In generale, si legge nella nota dell'authority, alcune clausole «sembrano ridurre la concorrenza nei mercati dei servizi all’ingrosso e al dettaglio di telecomunicazione a banda larga ed ultra-larga, generando altresì un effetto distorsivo sugli investimenti». Inoltre favorirebbero «l’erogazione di taluni servizi attivi rispetto a servizi di accesso passivo, o talune soluzioni tecnologiche rispetto che altre» e disincentivirebbero «una concorrenza basata sugli investimenti», aumentando «le barriere all’ingresso», in particolare quelli che operano alla frontiera della convergenza offrendo insieme «servizi a banda larga e ultralarga e servizi media audiovisivi». Tim ha diffuso una nota in cui dice di «accogliere con favore la decisione dell’autorità per la concorrenza e i mercati di avviare una valutazione». La valutazione avrà conseguenze anche sulla rete unica e quello che è chiaro è che le scelte del governo sono molto delicate e non solo per le aziende della fibra.

Il fondo Kkr, solo per fare un esempio, è socio del principale gruppo editoriale europeo, il tedesco Axel Springer, e del secondo gruppo radiotelevisivo europeo Probiensat1, di cui è socia Mediaset impegnata in una guerra industriale finanziaria con il suo azionista Vivendi a sua volta socio di Tim.

A luglio di fronte all’attivismo del ministero dell’Economia, diversi partiti avevano interrogato il governo sulle «scelte di fondo, sui tempi, sulle caratteristiche tecniche di un'operazione volta alla razionalizzazione infrastrutturale della rete e, in prospettiva, anche sui modelli di governance applicabili, sulle misure da promuovere per accelerare la realizzazione della infrastrutturazione della banda ultralarga e per garantire la sicurezza delle infrastrutture di telecomunicazione», come si legge nei resoconti della camera.

L’esecutivo si era impegnato a un confronto più generale sul settore delle telecomunicazioni anche coinvolgendo le aziende, ma aveva lasciato per sé le valutazioni del modello industriale. Il confronto poi è sempre stata posticipato. Le posizioni nella maggioranza sono diverse, all’interno di Pd e M5s, come all’interno dello stesso ministero dello sviluppo economico. E così il confronto è stato congelato mentre gli accordi finanziari proseguivano, fino a che a dicembre sia la responsabile dell’innovazione del Pd Marianna Madia che il capogruppo alla Camera Graziano Delrio hanno chiesto al governo di aprire un confronto con le imprese: un segnale politico che ha indotto il sottosegretario Gian Paolo Manzella ad accelerare i tempi. Gli amministratori delegati di aziende come Vodafone, Wind e Sky che hanno intese commerciali con OpenFiber hanno fatto sapere che non aspettavano altro.

Altre cinque aziende della fibra, Intred, Colt, Unidata, Retelit e Irideos (partecipata al 78,3 per cento da F2i, il più importante fondo della galassia Cdp e al 19,6 per cento dal fondo Marguerite, delle casse europee e della Commissione Ue), hanno scritto al governo per esprimere la loro preoccupazione su un possibile ritorno al monopolio della rete. Ma le consultazioni avviate dal Mise annegano la discussione in deleghe generali: affidando a Alessandra Todde quelle sulle crisi industriali e l’occupazione del settore tlc, a Mirella Liuzzi quelle sul 5G e a Manzella quella sulla banda larga. «A tutti i partecipanti è stato richiesto un contributo documentale nel quale riassumere le proprie posizioni», fa sapere una nota del Mise. E con tutta probabilità in quelle note documentali ci sarà anche l’elefante nella stanza: il progetto della rete unica, così cruciale per ora da non parlarne. 

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