In Basilicata da poco più di un anno a questa parte, con tutte le difficoltà del periodo, ha preso vita un istituto tecnico superiore per formare super tecnici specializzati nei nuovi lavori legati all’efficienza energetica e alla green economy nella zona di Tempa Rossa, il più grande progetto di esplorazione ed estrazione petrolifera sul territorio italiano. Si tratta di un istituto di formazione di terzo livello, quindi che accoglie gli studenti con diploma superiore usciti dai licei e dagli istituti tecnici della zona. Come tutti gli altri istituti di formazione professionalizzanti, nati in sordina dieci anni fa, è una creatura polimorfa e poco conosciuta.

Istituti gratuiti ma senza denari

Propagandati come il futuro dall’ex premier Romano Prodi, i 109 istituti tecnici superiori nati in questi dieci anni hanno una gestione misto pubblico-privato tramite la forma della fondazione, godono di finanziamenti statali, regionali, ma anche privati, da aziende del territorio e associazioni confindustriali, devono avere per statuto collaborazioni con scuole tecniche locali, politecnici o università. Non hanno quasi mai una retta, sono per lo più a frequenza gratuita, hanno almeno metà del corpo docente che proviene dal mondo delle professioni e non della scuola o dell’università, e insieme al diploma superiore lo studente può ottenere crediti formativi per continuare gli studi in un ateneo, in questo caso due atenei privati. Questo mondo di corsi superiori che finora ha stentato ad affermarsi anche a causa di finanziamenti risicati sarà letteralmente sotterrato di denari. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza gli assegna la bella cifra di 1,5 miliardi di euro.

Il 30 per cento del tempo in tirocinio

Un mare di soldi che andranno a riversarsi in un alveo stretto e accidentato di realtà molto diverse su cui però Confindustria sta puntando molto, con tutta la sua potenza di marketing. L’associazione degli industriali presieduta da Carlo Bonomi ai primi di maggio ha organizzato il primo festival telematico per promuovere questo modello di formazione dei nuovi mestieri, scelti e finanziati anche dalle aziende, con tirocini di almeno il 30 per cento dell’intero orario dei corsi, il festival «Its Pop Days» con webinar e video promozionali. L’Its Basilicata ha partecipato a questa vetrina. Ma è solo con un ulteriore approfondimento che si scopre come abbia tra i soci fondatori il Dipartimento di Ingegneria dell'energia, dei sistemi, del territorio e delle costruzioni dell’Università di Pisa e come partner, oltre il Consiglio nazionale delle ricerche della Basilicata, varie aziende, anche iraniane e argentine. Il corso abilitante biennale sta sfornando proprio in questi giorni i primi venti studenti con diploma superiore e a giorni partiranno le selezioni per l’anno prossimo, quando gli stage toccheranno anche, per la prima volta, i pozzi petroliferi, rigidamente off limits alla stampa e alle associazioni ambientaliste, di Tempa Rossa. I crediti formativi invece potranno essere spesi dagli studenti all’università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa e a quella telematica di EcoCampus, e stranamente non potranno invece servire per proseguire ingegneria a Pisa.

Il nodo dei crediti formativi

E in effetti la mancanza di veri crediti formativi spendibili al termine dei corsi biennali superiori e le falle nel sistema di riconoscimento dei titoli abilitanti è solo uno dei problemi che il sistema di formazione superiore fuori dalle università in Italia finora non è riuscito a risolvere. È rimasto un sistema di nicchia, che sforma solo 3 mila super tecnici l’anno e non è mai riuscito a farsi strada oltre i 18 mila iscritti, mentre in Francia al biennio post secondario per i Brevet de technicien supérieur partecipano in 240 mila e in Germania alle università di scienze applicate o Fachhochschulen addirittura in 880 mila ogni anno. Il Pnrr del governo Draghi si è posto ora l’obiettivo di decuplicare gli studenti degli Its nei prossimi quattro-cinque anni. Sarebbe questa la strategia per superare la fascia retrocessione nella classifica della scolarizzazione e “skills” della forza lavoro.

Meno di uno su tre

In Italia solo il 28 per cento dei giovani sotto i 34 anni possiede una laurea triennale o magistrale, quindi un titolo di studio di terzo livello. Contro una media europea del 44 per cento, che l’Italia si era ripromessa di raggiungere entro il 2020 rimanendo invece confinata ben 16 punti più in basso. Con un sempre più copiosa emorragia di iscritti agli atenei e un tasso di abbandono scolastico secondario e terziario da capogiro: il 14 per cento nelle scuole superiori e addirittura il 40 per cento degli immatricolati che abbandona l’università prima della laurea. Proprio per cercare di frenare la fuga dalle università, che hanno visto dimezzare la popolazione studentesca in dieci anni, nel 2015 anche la conferenza dei rettori ha accettato di autorizzare le lauree abilitanti, percorsi universitari più brevi e professionalizzanti. Ora ce ne sono 14, ma anche quelle non sono mai riuscite a conquistare un vasto pubblico. Nel frattempo tra Its e lauree professionalizzanti abbiamo un sistema duale, come in Francia, che però non riesce a cooperare né a decollare. Le uniche lauree professionalizzanti che sono esplose sono state quelle infermieristiche ma anche lì si pestano i piedi con i diplomi superiori degli Its nell’area tematica delle “tecnologie della vita”.

I settori

Inoltre nelle sei aree tematiche previste per gli Its sono predominanti i mestieri legati all’industria meccanica e delle costruzioni, che attraggono quasi unicamente studenti maschi, mentre sono poche le professioni nuove legate al turismo, della moda e ai servizi, a più forte attrazione femminile. Anche se negli ultimi anni in Toscana è nata l’Italian Tuscany academy di Firenze e a Latina l’istituto di agrobusiness legato al mercato ortofrutticolo di Fondi. Infine i corsi professionalizzanti biennali vengono per lo più frequentati da studenti di istituti tecnici e professionali e quasi mai da diplomati dei licei – solo il 6,9 per cento dei frequentanti proviene da lì -, confermando la preferenza gentilizia delle famiglie di classe media e erudite per un sapere più teorico che pratico. Caso a parte è  l’Accademia italiana di Marina mercantile a Genova, partecipata anche da Confitarma e da Fincantieri. Lì insieme agli ufficiali di coperta e di macchina, si formano tecnici della logistica portuale, della cybersecurity, degli impianti ferroviari sulle banchine. L’Accademia ha un bacino di utenza quasi unicamente di fuorisede, il corso è gratuito grazie ai sovvenzionanti pubblici e privati, ma alloggio e vitto sono a carico degli studenti.
Per monitorare l’eccellenza dei corsi e l’impiego dei finanziamenti, che attingono già anche al fondo sociale europeo, le fondazioni sono sotto l’osservazione di Indire, l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione ricerca educativa. Ma durante la firma del Patto per la scuola della settimana scorsa a Palazzo Chigi i sindacati hanno chiesto l’apertura di un tavolo di negoziato specifico sui fondi del Pnrr destinati agli istituti tecnici superiori.

Sindacati e aziende

Per Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Cgil, «attivare il sistema degli istituti professionalizzanti e insieme delle lauree abilitanti è un percorso interessante ma noi pensiamo che per evitare una eccessiva frantumazione sia importante legare i molti fondi del Pnrr a una riforma della governance». Attualmente ad autorizzare gli istituti sono le regioni e ciò lega le scelte con le vocazioni dei territori e spesso ai settori maturi della produzione. «In pratica si fotografa quello che c’è», sentenzia. Così la maggior parte degli Its sono nel centro-nord e pochissimi sono quelli d’eccellenza al Sud mentre è necessario un quadro di programmazione che segua lo sviluppo del Paese, i lavori che serviranno ad esempio per l’economia circolare e la transizione energetica ed verso un’economia digitale e sostenibile. Fracassi fa notare che pur essendo prevista la partecipazione delle parti sociali alle fondazioni, la Cgil salvo rari casi ha deciso di non parteciparvi. «Però nelle fondazioni più che Confindustria è necessario che siano presenti le imprese», sostiene. E sono loro in effetti che finora, con numeri così risicati di studenti, hanno assicurato l’occupazione dell’85 per cento e spesso oltre dei diplomati. All’Its di Ravenna che si occupa di professioni legate all’efficientamento energetico delle tecniche di costruzione il tasso di impiego a fine corso biennale quest’anno è stato addirittura del 95 per cento. «Con le certificazioni energetiche e climatiche che forniamo i nostri studenti hanno trovato immediatamente lavoro negli studi di ingegneria e di architettura oberati dalle pratiche dell’ecobonus edilizio», riferisce la segreteria didattica. E probabilmente faranno concorrenza ai geometri. È probabile che il sistema degli Its potenziato, se decollerà, sarà destinato a depotenziare ulteriormente il ruolo della scuola pubblica.

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