Tra le riforme gestionali che appaiono sempre più urgenti, anche a fine di rendere più efficaci le azioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza, quella delle concessioni appare davvero essenziale.

Qui ne trattiamo due tra le maggiori, quella delle autostrade per i gravi problemi emersi, e quella delle ferrovie paradossalmente perché nessuno osa parlarne in modo critico: troppa pace non è affatto un buon indice, come dimostreremo.

In termini economici, le concessioni per le infrastrutture autostradali e ferroviarie sono proprio identiche. Vediamo perché. Si tratta, innanzitutto, di monopoli naturali, cioè sono reti per le quali non ha senso costruire reti concorrenti, ma anche legali, nessun privato può mettersi a costruire liberamente strade o ferrovie. Non sono di libero accesso, cioè occorre pagare dei pedaggi per usarle, in termini tecnici si dice che sono escludibili.

Da questo discende che, chiunque le gestisca, occorre un regolatore pubblico che tuteli gli utenti da tariffe rapinatorie, garantisca condizioni di sicurezza e di qualità adeguate, e, se finanziate dallo Stato, eviti ai contribuenti costi eccessivi. Esiste per questi scopi un regolatore indipendente, l’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), con sede a Torino.

Quota 300

Ferrovie e autostrade hanno “effetti di rete”, cioè al di sotto di certe dimensioni i benefici per gli utenti diminuiscono (le reti non son ben collegate) e “economie di scala”: i costi di gestione aumentano.

Ma ci sono limiti precisi a questi effetti, non sono affatto infiniti. Anzi, occorre proprio che le dimensioni non siano mai così grandi da conferire al gestore troppo potere di influenza, detto “clout” politico. Per le autostrade per esempio le dimensioni sufficienti non superano i 300 chilometri. Nessuna analisi è nota per le ferrovie, e il valore potrebbe essere simile.

Queste infrastrutture generano costi ambientali rilevanti, ma che sono molto simili tra loro nel costruirle: tutte hanno bisogno di molti ponti, gallerie, e massicciate se non son proprio in pianura. E successivamente alla loro costruzione, i costi ambientali sono generati dai veicoli che le usano, non dalle infrastrutture.

Differenze radicali

Sono dunque realtà economiche sostanzialmente identiche, ma con gestioni e regolazione pubblica diversissime, e senza alcuna giustificazione esplicita tenteremo qui di trovarne di implicite. Vediamo le differenze, davvero radicali.

Il tipo di concessione: la rete ferroviaria è interamente pubblica, sia come proprietà che come gestione, ed è pubblica anche la gran parte dei servizi di trasporto che offre, cioè si dice che è un sistema verticalmente integrato, cosa che è un grosso problema in sé per la concorrenza. La concessione è praticamente eterna, e unitaria.

Anche i terreni su cui si trovano le autostrade (il sedime) è pubblico, ma la gestione è affidata in concessione a delle società per la gran parte private, e le concessioni, quando scadono, devono essere messe a gara.

Un concessionario – Autostrade per l’Italia - è nettamente più grande degli altri: controlla due terzi della rete e tre quarti del traffico.

Quanto alle tariffe per l’uso della rete ferroviaria, gli utenti pagano solo una quota ridotta dei costi di esercizio e anche dell’energia elettrica, e praticamente nulla dei costi di investimento, per i quali non si assume alcun ritorno economico (ammortamento). In termini tecnici, la rete ferroviaria opera in regime di costi marginali, cioè gli utenti pagano solo i costi dell’usura dei binari ecc. e nemmeno tutti. Ovviamente sono i contribuenti i pagatori principali dell’intero sistema.

Le autostrade invece coprono con le tariffe tutti i costi di gestione e gran parte dei costi di investimento, cioè operano in regime di costi medi - average cost pricing - come la larga maggioranza delle altre infrastrutture. Ovviamente in questo caso sono gli utenti i pagatori che alla fine pagano praticamente l’intero sistema.

La regolazione

Venendo ora alla regolazione dei due sistemi: la rete ferroviaria non è regolata con gare periodiche, ma nemmeno tramite l’alternativa principale alle gare, nota come price cap, cioè una regolazione che premia gli aumenti di efficienza. Il regolatore Art fino ad oggi è intervenuto praticamente solo in caso vi sia un privato danneggiato, per esempio in difesa di Italo, operatore concorrente per l’Alta Velocità. Non è noto alcun intervento né per tutelare i contribuenti, che pagano la gran parte dei costi della rete, né per limitare la capacità di pressione politica legata alle dimensioni dell’impresa, che abbiamo definito clout. Ovviamente queste dimensioni escludono di per sé ogni realistica possibilità che ci sia concorrenza nella gestione della rete anche se fosse messa a gara: chi competerebbe per la gestione di un’intera rete nazionale?

Le autostrade invece sono regolate con tecniche diverse, che variano dai rimborsi a “piè di lista” a quelli noti come lump sum payment, su cui qui non possiamo dilungarci. Questo anche perché il regolatore Art sta tentando, di introdurre un sistema più equo, basato sul principio del price cap e di corretta remunerazione degli investimenti. Ma sembra purtroppo con limitato successo, nonostante la generosissima regolazione passata abbia dato pessima prova sia in termini di tariffe che di sicurezza.

Ma perché questa grande differenza di trattamento per due reti di trasporto che hanno caratteristiche economiche quasi identiche? L’unica spiegazione sembra essere quella della differente disponibilità a pagare degli utenti, molto alta per il modo stradale e bassa per quello ferroviario. Cioè sembra che si abbia paura che se lo stato non trasferisce grandi risorse alle ferrovie anche per le infrastrutture, nessuno più le userebbe. Ma questa scelta sembra aver poco senso. La disponibilità a pagare è un misuratore di utilità: in breve, se si è disposti a pagare di più qualcosa è perché serve molto.

I trasferimenti pubblici devono concentrarsi, per soddisfare obiettivi sociali e anche ambientali, dove i problemi si generano, cioè nei servizi di trasporto.  Per l’ambiente, anche la Commissione europea, oltre il buon senso, raccomanda di intervenire con tasse o standard ambientali sui carburanti e sui veicoli, e questo già avviene in modo rilevante. Per la socialità, occorre sussidiare alcuni servizi, per esempio, quelli di autobus sulla rete autostradale, usati più dei treni dalle categorie a basso reddito, e quelli pendolari sulla rete ferroviaria, ed anche questo già avviene, anche se quasi solo per i servizi ferroviari.

Il coordinamento necessario

Un coordinamento dei regimi concessionari, tariffari, e regolatori delle due principali reti di trasporto, e in generale di tutte le infrastrutture, consentirebbe di avere sia un contesto competitivo equilibrato tra modi di trasporto, che di aprire gradatamente a maggiori livelli di concorrenza anche le gestioni che oggi ne sono inspiegabilmente escluse.

Non possiamo dimenticare che la versione di Draghi del Pnrr ha reso esplicito l’obbiettivo della concorrenza, del quale un efficiente e moderno assetto gestionale è parente strettissimo.  Per autostrade e ferrovie siamo al secolo scorso.

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