L’ascesa vertiginosa dei costi delle principali materie prime ha portato il governo cinese ad intervenire minacciando ritorsioni qualora continuassero le “azioni speculative” sui prezzi, in un tentativo di calmare i mercati.

I costi delle principali materie prime tra energia, prodotti agricoli e metalli industriali sono tutti in salita da inizio anno, trainati dalla ripresa economica post Covid e i progetti di investimento in Europa e Usa, in una congiuntura di fattori che potrebbe rappresentare l’inizio di un ciclo di mercati alti che non si vedeva da un decennio.
Il prezzo del rame ha raggiunto un nuovo record storico trainato da una forte crescita della domanda dalla Cina, il primo consumatore del metallo. Quotato sulla borsa Lme di Londra, il rame ha superato i 10.350 dollari a tonnellata il 7 maggio, oltrepassando il picco del 2011, l’ultima volta che era stato così alto.

E la Cina, temendo un effetto negativo su costi al consumo e inflazione, si sta muovendo per contrastare l’ascesa.

Domenica scorsa, la commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, agenzia di pianificazione economica di Pechino, ha convocato i maggiori produttori di metalli, avvertendo che non tollererà azioni definite “monopolistiche e di speculazione” e intimando alle aziende di “mantenere il normale ordine dei mercati”.

Il commento dell’organizzazione ha avuto effetti immediati, con il prezzo del ferro sui contratti futures in discesa in apertura delle borse questa settimana. Anche il prezzo del rame è sceso di qualche punto negli ultimi dieci giorni.

Ma non sono solo i metalli a crescere

Tra le fonti di energia, il petrolio è schizzato sopra i 70 dollari al barile la settimana scorsa, superando il livello pre-Covid.

La domanda globale di greggio è limitata dalle restrizioni al trasporto aereo, ma sta crescendo al passo con le riaperture. Il cartello di produttori Opec e paesi affiliati, come la Russia, si sono accordati per regolare gli aumenti di produzione ed evitare un crollo dei prezzi.

I prodotti agricoli

A fine aprile, Goldman Sachs ha affermato che il petrolio potrebbe raggiungere gli 80 dollari al barile nella seconda metà dell’anno, con «un’impennata della domanda nei mesi estivi».

Anche i prodotti agricoli sono sotto pressione a causa pronostici di siccità negli Usa e raccolti magri nell’emisfero sud. La soia è al livello più alto dal 2012, complice una campagna asciutta in Brasile, il primo produttore al mondo. Nell’ultimo anno il suo valore è cresciuto del 65 per cento fino ai quasi 360 dollari a tonnellata dei contratti futures di maggio.

E poi il mais, a un massimo di otto anni; o il caffè che ha guadagnato il 10 per cento dall’inizio del mese raggiungendo un massimo di quattro anni. Se sei un compratore oggi, tra i rincari su materie e trasporti continui a sbattere la testa», ha affermato un produttore industriale del nord Italia. 

«I problemi della logistica hanno peggiorato la questione dei prezzi», sostiene un trader in Germania. “I costi del trasporto via mare sono quintuplicati in sei mesi. Questo si è sommato ai ritardi nelle consegne e al caos del canale di Suez».

Cambiamento geografico

Prima di quest’anno, l’ultimo giro di boa per le materie prime è stato nel 2011 - il picco degli indici dopo un decennio di crescita sulla scia della domanda cinese. In quegli anni, la Cina cresceva a ritmi del 9 -10 per cento all’anno ed era un consumatore insaziabile di materie prime per le proprie infrastrutture e progetti urbanistici. 

La differenza questa volta è che anche altre zone geografiche stanno trainando i mercati. Jp Morgan sottolinea la combinazione di «un dollaro debole, politiche fiscali espansive in Usa e Ue, inflazione in aumento e la ripresa economica dopo il Covid».

La riapertura delle economie occidentali garantisce un sostegno alla domanda di materiali che non dipende dall’andamento di un singolo paese, come la Cina dei primi anni Duemila. Gli investimenti pubblici, in particolare alle infrastrutture, spingono a loro volta industria pesante, edilizia, trasporti e un ampio indotto.

In Europa, saranno i 750 miliardi di euro del recovery fund, mentre in Usa i pacchetti dell’amministrazione Biden: 2,3 trilioni di dollari dell’American Jobs Plan per le infrastrutture e quasi due trilioni del Rescue Act approvato a marzo.

«È vero che la Cina ha avuto una marcia in più da inizio anno, ma nel medio e lungo periodo vediamo le altre economie sostenere questo trend. La domanda è più bilanciata», aggiunge il trader. «Ci sono poi le tendenze settoriali, vedi edilizia o trasporto elettrico».

Il boom immobiliare in atto quest’anno negli Usa è alla base della crescita del prezzo del legname, le cui quotazioni nei contratti futures sulla Cme (Chicago Mercantile Exchange), uno dei mercati più importanti al mondo di contratti derivati sulle materie prime, hanno quadruplicato il loro valore da 330 dollari per 1000 unità un anno fa ad oltre 1.600 oggi.

E la transizione energetica verso fonti rinnovabili e trasporto elettrico sta spingendo materie prime come rame, cobalto o palladio.

Transizione o fiammata temporanea?

«Questo ciclo non è solamente dovuto alla ripresa economica», ha commentato Sp Angel. «La decarbonizzazione dell’economia sta creando un cambiamento strutturale alla domanda di alcuni metalli».

Ma non sono tutti d’accordo nell’affermare che una nuova fase è alle porte. Secondo alcuni, le impennate viste finora sarebbero in realtà un riflesso della contrazione anomala che la pandemia ha imposto all’economia mondiale nel 2020. Se così fosse, potremmo avere invece una fase breve di mercati alti potenziata dalle riaperture, che andrebbe poi a spegnersi esaurita la spinta iniziale.

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