«Mai rovinare una bella storia con la verità», si diceva tra giornalisti negli anni in cui i quotidiani erano stampati con il piombo. In tempi social il falso è veleno che a gran velocità inquina la convivenza. In Italia abbiamo sviluppato una specie particolare di racconti fasulli: le Fake Sud. Un esempio: nel Mezzogiorno c’è più evasione fiscale. E invece se si vanno a leggere i dati dei Conti pubblici territoriali dell’Agenzia per la coesione si scopre che la pressione fiscale e contributiva pesa per il 47,8 per cento del Pil nel Mezzogiorno ed è al 46,7 per cento nel Centronord. Non è una differenza ampia, tuttavia contraddice l’opinione comune e mostra un paese nel quale lo sforzo fiscale è maggiore nell’area economicamente più debole.

Sul fisco ci sono anche Fake Sud nate nel Mezzogiorno, come quella per cui il Sud sarebbe ricco se le sedi legali delle aziende non fossero tutte o quasi al Centronord.

Mi sono chiesto a lungo come sia nata questa leggenda: ha origine dall'articolo 37 dello Statuto siciliano del 1946 che fa riferimento alle sedi centrali delle aziende e prevede che se ci sono stabilimenti in Sicilia una quota del reddito va attribuita alla Regione. Ma è una credenza fasulla perché le imposte sul reddito d'impresa sono nazionali e non dipendono da sedi legali e centrali, mentre l'Irap funziona in linea con lo statuto siciliano e quindi non c'è alcuna sottrazione ai territori meridionali.

Fake news sul Recovery fund

Le Fake Sud nascono con lo scopo di intorbidire il dibattito. Non è un caso, infatti, se in questi giorni si stanno moltiplicando analisi sul riparto territoriale della spesa pubblica: c’è da presentare i progetti del Recovery fund e ci si sta spaccando tra chi come la Svimez e il ministro della Coesione Giuseppe Provenzano sostiene che finalmente è tempo di costruire nel Sud le cose che mancano - dagli asili nido ai binari ferroviari - e chi invece, come il presidente di Confindustria Carlo Bonomi e l'osservatorio su conti pubblici italiani (Cpi) di Carlo Cottarelli, afferma che il Sud riceve troppi soldi e quindi è preferibile concentrare le risorse dove l’economia è solida. Se ragionassimo su scala europea, sarebbe come se in piena crisi da coronavirus la Germania imponesse una regola per assegnare soprattutto a se stessa i fondi del piano europeo in base al principio che la sua è l’economia più forte del continente mentre «si sa» che italiani e spagnoli non spendono bene i soldi che ricevono.

Il criterio seguito usa tre parametri: popolazione, reddito inferiore alla media e tasso di disoccupazione quindi l'Italia è (purtroppo) il principale beneficiario proprio a causa dei mediocri standard del suo Mezzogiorno.

Il divario aumentato

Stiamo ai fatti: è vero che il Sud ha ricevuto finora troppi soldi? Grazie a Carlo Azeglio Ciampi in Italia ci sono i già citati Conti pubblici territoriali (Cpt) nati proprio per rispondere a questa domanda. Ebbene: sia per le «spese correnti» (come gli stipendi), sia per quelle chiamate «in conto capitale», cioè gli investimenti, l’Italia spende in misura decisamente maggiore nel Centro-Nord.

Da quando è disponibile la serie storica, e cioè dal 2000, in tutti gli anni tranne uno il governo ha orientato gli investimenti in modo da allargare il divario Nord-Sud, cioè assegnando al Mezzogiorno una quota inferiore a quella della popolazione residente: cioè meno del 34 per cento sommando interventi ordinari e straordinari. La spesa in eccesso al Sud quindi è una clamorosa fake.

Questi i numeri macro. E abbiamo la riprova dei micro dati. Dal 2015 infatti si è iniziato ad applicare il federalismo fiscale per i comuni, per i quali passa una fetta consistente di spesa sociale, dagli asili nido alle mense scolastiche, all’assistenza a disabili e anziani, fino al trasporto pubblico locale. Per i 6.700 comuni delle regioni a statuto ordinario si sono definiti i fabbisogni standard.

Ebbene, con sorpresa dei tecnici, l’analisi non ha fatto emergere sprechi nel Mezzogiorno, almeno in generale, mentre è risultata una fortissima disparità di risorse.

C’è una rappresentazione cromatica: quando la Sose - la società pubblica cui è affidata l’elaborazione dei dati - in una slide ha provato a illustrare l’efficienza dei territori (cioè la quantità di servizi erogati in rapporto alle risorse) la Calabria si è colorata di verde al pari del Veneto e più della Toscana. Ma quella slide è stata proiettata il 3 marzo 2017 in un seminario di studio a Roma e solo ora qui ne leggete qualcosa.

Nulla da finanziare

Come si è reagito di fronte alla prova della Fake Sud dei comuni meridionali inondati di quattrini spesi male? C’erano due strade: o correggere il tiro e dare a tutti i sindaci le corrette risorse (verificando che fossero spese al meglio) oppure considerare i divari storici come equivalenti ai diritti attuali e quindi introdurre una formula per cui il diritto dei disabili o dei bambini del Sud di avere assistenza o tempo pieno a scuola è minore se non pari a zero.

Così non c'è nulla da finanziare. Per quanto possa sembrare assurdo, in Italia applicando il federalismo fiscale si è stabilito che il diritto al nido dei bambini che nascono in un posto senza asili nido è zero e quindi non è necessario aprire asili nido.

E ancora: dal 2017 si è deciso che il diritto all’assistenza di un disabile o di un anziano non autosufficiente dipende dalla regione dove si risiede. Hai un disabile in famiglia? Capiamo il tuo disagio, ma sei calabrese, sei campano e persino - so che sorprenderà - sei piemontese. Perché un piemontese dal 2017 ha meno diritti sociali di un lombardo o di un emiliano. E questo, anche nel caso in cui il comune quei servizi li offra.

C’è la prova, quindi, che il Sud ha servizi insufficienti non solo per gli sprechi (che pure ci sono e purtroppo non soltanto al Sud) ma per regole scritte per consolidare invece di superare i divari. Eppure di fronte ai fatti, i costruttori di Fake Sud cosa fanno? Negano l’evidenza e anzi si impegnano a minare la credibilità del sistema statistico nazionale.

L’osservatorio Cpi di Carlo Cottarelli il 26 settembre ha pubblicato uno studio a firma di Giampaolo Galli e Giulio Gottardo dal titolo: «La distribuzione della spesa pubblica per macroregioni» la cui conclusione è che «il Sud appare significativamente favorito» nel riparto della spesa pubblica.

I servizi che non ci sono

Per arrivare a tale risultato gli autori criticano la validità dei conti pubblici territoriali sulla base del fatto che le cifre non coincidono con quelle Istat (in verità entrambe sono ufficiali, solo che seguono metodologie diverse). Poi tolgono dalla spesa pubblica le società partecipate, come se gli investimenti delle Ferrovie dello Stato per realizzare l’alta velocità non avessero contribuito a creare due Paesi. Inoltre non considerano la spesa per le pensioni (qui però hanno ragione, perché le pensioni sono reddito differito).

Infine, visto che il totale mostra ancora un Mezzogiorno sfavorito, affermano che gli euro dati al Sud sono di meno ma valgono di più, perché al Sud la vita costa poco.

Ora non c’è dubbio che il pane al Sud costi meno, ma nel paniere bisogna inserire anche i servizi che al Sud sono assenti o carenti perché un meridionale deve pagarsi da solo cose che altrove sono scontate. Inoltre i dati sul costo della vita sono viziati in origine perché l’Istat non fa confronti fra prodotti identici bensì controlla il prezzo dei beni più venduti per ciascuna tipologia ed è ovvio che il «più venduto» in una città campione dipende dalla ricchezza media di quel territorio: il livello dei prezzi rilevato dall’Istat conferma i divari di reddito.

Per esempio nel paniere l’Istat inserisce il televisore indicando che il modello più venduto al Nord costa 238 euro mentre nel Mezzogiorno 171 euro. Ma si sta parlando dell’identico oggetto? Ovviamente no. Quello venduto al Sud è più scadente.

Tutto ciò è spiegato, per chi è appassionato al tema, a pagina 69 del numero 39 di “Metodi e norme” dell’Istat, in cui si precisa che i prezzi non sono comparabili tra i territori perché i messi comunali che fanno le rilevazioni hanno il compito di monitorare il prodotto più venduto e solo nei posti dove i redditi sono molto bassi il più venduto è il più economico.

Spesa ordinaria coi fondi Ue

E ancora. Visto che i 209 miliardi del Recovery fund destinati all’Italia sono soldi europei, si rilancia la Fake Sud del Mezzogiorno che non sa spendere. Perché è una fake?

I risultati prodotti dai fondi Ue, in effetti, sono mediocri. Ma Bruxelles ha capito perfettamente la ragione e lo ha scritto in una lettera all’Italia un anno fa, a firma di Marc Lemaître, direttore generale della Dg Politiche regionali: «Spesso ci sentiamo dire che la politica di coesione non produce nulla di positivo per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ma voglio richiamare l’attenzione sulla consistente riduzione degli investimenti nazionali al Sud, fino al punto da neutralizzare e rendere vano lo sforzo europeo nelle politiche regionali nel Mezzogiorno».

Quindi Bruxelles sa, perché legge i conti pubblici territoriali, che Roma con un gioco delle tre carte utilizza i fondi Ue per coprire la spesa ordinaria mentre gli euro a Varsavia, Bucarest, Sofia sono per definizione aggiuntivi e stanno portando un formidabile sviluppo in Polonia, Romania, Bulgaria.

In questi paesi non c'è un'area arretrata da sostenere e una ricca che si ingelosisce, per cui i fondi Ue sono aggiuntivi e funzionano. Come sono stati efficaci in Spagna dove i fondi europei dati sono stati gestiti per realizzare una cosa che prima non c’era: l’alta velocità ferroviaria, partendo dalla linea Madrid-Siviglia inaugurata nel 1992. In Italia invece i fondi europei sono sbriciolati al Sud in una miriade di progettini per cose che al Nord sono ordinarie, come le scuole aperte di pomeriggio. E i treni veloci? In Spagna arrivano a Siviglia, stessa latitudine di Siracusa. In Italia si fermano a Eboli. E questa non è una bella storia.

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