La storia di uno dei più importanti processi che ha coinvolto il sistema della logistica italiana non è finita. Sono decine le testimonianze raccolte dalla procura di Pavia che raccontano come nel magazzino della Città dei libri di Stradella, gestito dalla multinazionale Ceva Logistics Italia e che ha come cliente il principale distributore di libri italiano, fino al 2017 c’erano turni di lavoro superiori di almeno dodici ore al giorno, con straordinari non pagati e contributi nemmeno. I lavoratori passavano da una cooperativa a un’altra, lavorando sempre per lo stesso consorzio il cui dominus, Giancarlo Bolondi, era l’amministratore di fatto di decine di cooperative, vere e proprie buche delle lettere, undici domiciliate allo stesso indirizzo di Milano, diversi evasori fiscali totali. Alcune differivano solo per un trattino nel nome e all’occorrenza, quando era meglio sparissero di scena, venivano svuotate, trasferite da nord a sud. Il tribunale di Pavia ha condannato Bolondi e soci per l’associazione a delinquere ai fini dell’elusione fiscale, ma ha assolto gli imputati per l’altro capo di imputazione cioè il caporalato, l’associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro. Ora il pubblico ministero Paolo Pietro Mazza ha deciso di impugnare la sentenza anche sulla scorta delle testimonianze dei lavoratori chiamati dalla difesa, e delle contraddizioni delle loro dichiarazioni su retribuzione e straordinari.

L’ultimo sciopero

Stradella, paese della provincia di Pavia, con meno di 12mila abitanti e molti più libri, lungo l’asse che collega Voghera a Piacenza, è divenuto un luogo simbolo delle lotte sul lavoro nel comparto della logistica italiana. «Fino a quando non è arrivato il sindacato, quello era un magazzino del Novecento, turni da quattordici ore, straordinari in nero se pagati, infortuni camuffati», dice l’avvocato Lorenzo Venini, che si occupa per lo Studio Diritti e Lavoro di Milano di molti casi simili.

Nel 2019 è intervenuta anche la procura di Milano che ha di fatto commissariato il ramo italiano della multinazionale Ceva, riconoscendo il vantaggio che aveva ottenuto l’azienda nell’affidarsi a Bolondi. L’uscita dall’amministrazione giudiziaria che ha monitorato che non ci fossero illeciti e che i conti fossero in regola è avvenuta solo nel 2020, e ora Ceva è uno dei due soci della joint venture C&M Books Logistics che gestisce la distribuzione dell’editoria. Eppure il magazzino è stato teatro anche quest’anno di uno dei più lunghi scioperi del settore fino a quando, domenica scorsa, i lavoratori hanno ottenuto garanzie occupazionali, un aumento dei buoni mensa e un’integrazione della malattia. «La busta paga arriva a 1400-1500 euro solo con tredicesima e quattordicesima, è uno dei salari più bassi d’Europa», dicono dal sindacato Si Cobas che oggi ha indetto uno sciopero nazionale del comparto. I sindacati di base sono molto presenti nel settore e sono anche protagonisti di aspri conflitti con i sindacati confederali. Dopo che a marzo Fedex Tnt ha deciso di chiudere la sede di Piacenza e di ristrutturare la sua presenza in Italia, Si Cobas e Adl Cobas hanno occupato la sede del Pd, per ottenere un incontro col ministro del Lavoro Andrea Orlando e bloccato l’ingresso di magazzini come quello di Tavazzano, in provincia di Lodi. Nello stesso periodo la Cgil ha firmato accordi per internalizzare la maggioranza dei facchini delle sedi di Padova e Ancona.

Tasse e lavoro

Il sistema dei subappalti, come ha insegnato il caso della Ceva, si traduce spesso in scappatoie fiscali e precarizzazione del lavoro. A un capo della filiera si trovano aziende multinazionali che operano a livello globale, note e conosciute. Ma nessuno per molto tempo ha chiesto a queste aziende conto della trasparenza della loro lunga filiera. Il subappalto che ha dilagato nel comparto permette di frazionare la forza lavoro in gruppi di dimensioni più piccoli con un duplice effetto. Da una parte c’è l’abbassamento della quota Irap da pagare legata al numero dei dipendenti e la possibilità per i subappaltatori di scaricare i costi, dall’altra c’è il lavoro precario. In alcuni casi, si traduce in una girandola di cooperative dalla vita molto breve che si passano i lavoratori senza riconoscere loro diritti acquisiti. In quelli peggiori c’è un vero e proprio sistema di sfruttamento organizzato.

Non ci sono i campi, il lavoro della terra o dei cantieri che l’immaginario collettivo collega al caporalato. Eppure la distanza che ci separa dalla vita dei magazzini dove i facchini spostano, impilano e trasportano le merci che arrivano nei negozi, è la stessa che ci separa dai campi, mondi a parte dove non si entra. E che tendiamo a non vedere nemmeno quando si avvicinano: «Incontro spesso autisti dei furgoncini bianchi che se non fanno tutte le consegne giornaliere hanno la paga dimezzata», dice Venini. «I sindacati di base sono andati a occupare lo spazio che il sindacalismo classico non aveva per diversi anni ben compreso. Ma al di là del sindacalismo sentimentale, le cooperative genuine sono rimaste il cinque per cento».

 

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