Per Fratelli d’Italia sarebbe stata la soluzione migliore: entrare per la prima volta a palazzo Chigi e al ministero dell’Economia con una legge di Bilancio già impostata e ottenere in un colpo solo un aiuto tecnico per far tornare i conti e un pretesto già confezionato per tenere a bada alleati come Matteo Salvini, feriti dal voto ma, grazie agli accordi di coalizione, sovrarappresentati in parlamento. All’occorrenza, avere anche un capro espiatorio a cui addossare la responsabilità dei fondi distribuiti o negati dalla prima finanziaria della coalizione, il biglietto da visita dell’Italia meloniana.

L’aiuto sul Recovery

Al momento, però, il premier Mario Draghi ha scelto un’altra via per aiutare la transizione dal suo governo tecnico all’esecutivo di Meloni, unica oppositrice in parlamento, ma anche una delle poche sue sincere sostenitrici nella corsa al Quirinale. Il premier non si assumerà la responsabilità di indirizzare le scelte del futuro governo, formato da partiti che lo hanno fortemente contestato fino all’ultimo Consiglio dei ministri.

Presenterà solo la base di partenza, l’aggiornamento del Documento di economia e finanza, che non contiene buone notizie. Un taglio di un punto e mezzo di Pil e un aumento dell’1 per cento del deficit rispetto alle stime di primavera, nel migliore dei casi una crescita allo 0,8 per cento per il 2023. Significa 12 miliardi in meno a disposizione, per una finanziaria che, escluse le promesse elettorali, solo con l’estensione di misure sul caro vita, accise, pensioni, taglio al cuneo, missioni internazionali, arriva a 40 miliardi.

Però, dopo aver incassato il via libera alla seconda tranche del Pnrr da 21 miliardi, Draghi si è ufficialmente impegnato a fare metà del lavoro sul Recovery che Meloni dovrebbe completare per la fine dell’anno. «L’azione del governo punta a realizzare in anticipo numerosi obiettivi, già a settembre e poi in ottobre, rispetto alla scadenza del 31 dicembre 2022. Si tratta di circa il 50 per cento degli interventi, sui quali la Commissione eserciterà la sua valutazione», recita una nota inviata ieri da Palazzo Chigi.

Un bilancio di crisi

Un sostegno non da poco per chi conosce la macchina del Pnrr e il contesto economico da affrontare per l’anno che verrà. Con la crisi energetica, la recessione già annunciata dalla Bundesbank in Germania e probabile per l’Eurozona, con l’aumento degli spread in Europa, da noi amplificato per il fardello dell’indebitamento e le incognite politiche, il piano di ripresa è destinato a incidere molto di più sulla crescita del paese e sul nostro margine di manovra sui conti. Pure se non dovesse centrare le stime, in realtà difficili persino da elaborare, annunciate dall’esecutivo nel momento della sua stesura: 3,2 punti percentuali in più di occupazione dal 2024 e 3,6 punti di Pil in più nel 2026.

Con Meloni impegnata a tenere la linea della serietà, la richiesta di aiuto a Draghi era stata recapitata indirettamente dal cofondatore di FdI, Guido Crosetto, all’una e mezza della notte elettorale. «La legge di Bilancio va inviata a Bruxelles il 16 ottobre, il nuovo governo avrebbe solo un giorno» e quindi dovremmo «lavorare a quattro mani con il governo uscente», aveva detto Crosetto, dimostrando in realtà di conoscere poco Bruxelles, dove sono abituati a elezioni e negoziati per la formazione di governi in qualsiasi stagione e con maggioranze meno solide di questa.

Le elezioni che hanno chiuso l’era Merkel in Germania si sono tenute il 26 settembre di un anno fa e rimandare la presentazione del documento programmatico di bilancio non è stato un problema.

Invece ritardare sul Recovery, una macchina complessa con obiettivi che dipendono da decine e decine di attori diversi, è più problematico.

Draghi lascia che sia Meloni a sbrogliare l’intrico di interessi e scelte attorno alla legge di Bilancio che l’anno passato ha messo in difficoltà anche lui. Gli alleati dovranno decidere se tenere una linea conservativa: prendere a esempio proprio la linea del governo tecnico, proseguendo con la conferma degli sconti pensionistici a piccoli gruppi di fortunati, per poter rilanciare lo slogan dell’abolizione della legge Fornero senza abolirla davvero, estendere subito il forfait per gli autonomi a 100mila euro (una delle poche misure – inique – su cui i tre partiti convergono) e rimandare a tempi migliori il resto, sapendo però che i tempi migliori non arriveranno subito e il 2023 sarà più difficile del 2022.

Molto dipenderà da chi occuperà la casella del ministro dell’Economia, quella su cui Meloni si gioca tutta l’operazione di credibilità messa in piedi finora. In mancanza di una classe dirigente, nemmeno il “lord protettore” Draghi può fare miracoli.

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