Si fa presto a dire che con i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sarà costruita l’Alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria. Quale Alta velocità? La costosissima Alta velocità e Alta capacità (Av/Ac) per i treni passeggeri che corrono a 300 chilometri l’ora e pure per i treni merci che di viaggiare a quella velocità non hanno alcuna necessità? Oppure l’Alta velocità di rete (Avr) che consente il transito dei convogli a 200 chilometri l’ora e che richiederebbe investimenti di gran lunga inferiori? O l’alta velocità classica (Av) così come quella del resto d’Europa, dove hanno puntato senza ambiguità a velocizzare i trasporti passeggeri lasciando che i treni merci transitassero su binari diversi? E poi: su quale tracciato correrà quella linea?

Toccherà Cosenza seguendo sui binari lo stesso percorso imposto decenni fa all’autostrada Salerno-Reggio Calabria e conosciuto dagli addetti ai lavori come il “tracciato Mancini” (da Giacomo Mancini, politico cosentino del Psi, più volte ministro e responsabile dei Lavori pubblici proprio nel periodo in cui veniva realizzata la grande opera ndr)? In questo caso i costi della nuova linea sarebbero esorbitanti perché i binari dovrebbero passare per decine e decine di chilometri in galleria e ci sarebbe mezza Calabria da bucare. E infine: la linea sarà a 3mila volt oppure a 25mila?

Confusione lessicale

Al momento non c’è neanche una riga di progetto e purtroppo i massimi responsabili della faccenda, dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, al ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, con le loro dichiarazioni o i loro documenti non aiutano a capire. Anzi, ingenerano una confusione del tutto fuori luogo dal momento che in ballo ci sono decine di miliardi di euro e il futuro dei trasporti per milioni di italiani, le imprese, l’economia del sud. Presentando il Pnrr in Senato Draghi ha parlato di Alta velocità e Alta capacità, cioè linea per treni veloci passeggeri e treni merci.

Nella parte del Pnrr dedicata alle infrastrutture la faccenda è trattata in maniera ambigua: si parla di Avr, cioè Alta velocità di rete, e poi della necessità di costruire una linea per treni veloci a sud di Salerno in un contesto in cui si considerano pure le merci. Infine nelle slide del documento “Dieci anni per trasformare l’Italia” del ministero guidato da Giovannini la dizione Alta capacità (cioè merci) sparisce del tutto.

Insomma: una babèle che lascia impregiudicata qualsiasi scelta e che solleciterà, è facile prevederlo, le scorrerie delle lobby. Probabilmente questa ambiguità al momento va bene a tutti e forse è proprio per questo che nessuno dei soggetti più interessati alla partita ha pronunciato mezza parola a proposito della sorprendente vaghezza dell’impostazione governativa. Se n’è accorto solo qualche esperto del ramo dei trasporti e della logistica, come Pietro Spirito, in passato dirigente di primo piano delle Fs, che in una nota ha scritto: «Nella confusione lessicale si possono annidare dettagli tecnici che conducono a scelte costose e sbagliate dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia».

Forse le lobby sperano di poter ripetere a distanza di decenni il grande assalto dell’Alta velocità dei tempi della Prima Repubblica. Allora fu imposto un tipo anomalo di Alta velocità, un sistema all’italiana, l’Alta velocità/Alta capacità, un metodo misto passeggeri-merci che comportò lavori molto più complicati perché bisognava realizzare pendenze adeguate e linee progettate per poter consentire anche il passaggio di mezzi particolarmente pesanti. Il tutto richiese costi in media un terzo più alti rispetto a quelli dell’Alta velocità degli altri paesi europei, costi che si sommarono alle molteplici ruberie realizzate in corso d’opera e trasformarono la grande opera in un enorme scandalo.

Compromesso di lobby

La scelta di allora fu il frutto di un compromesso tra lobby e partiti. Anche a quei tempi come oggi il mantra per i trasporti era la cura del ferro, cioè lo sviluppo della ferrovia, ma per dare il loro assenso gli ecologisti e una parte della sinistra vollero che le nuove linee fossero adatte anche per le merci. Alle società costruttrici, che con le coop erano il gotha dell’imprenditoria di allora, andava molto bene così perché Alta velocità/Alta capacità voleva dire più lavori e più guadagni. E anche i sindacati erano d’accordo perché più lavori equivaleva a più lavoratori impegnati. A distanza di più di quindici anni dal primo treno ad Alta velocità, su quei binari non è passato però neanche un treno merci.

E sarebbe sorprendente fosse successo il contrario perché far transitare i merci su una rete per l’Alta velocità è un controsenso, a cominciare dagli insopportabili costi di accesso alla rete. Se per usare quelle tratte un convoglio merci dovesse pagare quanto normalmente paga per l’uso degli slot ferroviari un treno ad Alta velocità di una delle due aziende che gestiscono il servizio passeggeri (Trenitalia e Italo), non potrebbe neanche per un secondo reggere la concorrenza con altri sistemi di trasporto, a cominciare dai Tir. Oltretutto i merci in genere non hanno bisogno di correre, quindi nessuna società cargo operante in Italia ha mai ritenuto che l’Alta velocità/Alta capacità fosse un’opportunità da utilizzare. A distanza di decenni c’è il rischio che il madornale e onerosissimo errore venga ripetuto, oltretutto in una zona d’Italia dove sono poco probabili incrementi significativi del traffico merci considerato tra l’altro che il Pnrr ignora quasi del tutto il grande porto calabrese di Gioia Tauro.

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